Bergoglio e il significato della visita
Sul numero di Pagine Ebraiche attualmente in distribuzione, all’indomani della visita di papa Bergoglio al Tempio Maggiore, appaiono le riflessioni a caldo del presidente dell’Assemblea dei rabbini italiani rav Giuseppe Momigliano, dell’ex ambasciatore dello Stato d’Israele a Bruxelles e grande esperto delle relazioni ebraico-cristiane Sergio Minerbi oltre che dello storico del Cristianesimo Alberto Melloni e di Lisa Billig, rappresentante in Italia e presso la Santa Sede dell’American Jewish Committee.
“Ha richiamato i sentimenti”
“Volendo operare una sintesi, si potrebbe dire così. Che da parte ebraica ci sono stati più contenuti, mentre il papa si è espresso facendo maggiormente leva sui sentimenti”.
Questa l’impressione ricavata dal presidente dei rabbini italiani, rav Giuseppe Momigliano, che al pari di altri Maestri ha potuto assistere allo svolgimento della cerimonia da una prospettiva ravvicinatissima. Molto apprezzabile, dice, “l’ottima strutturazione di tutti i discorsi”. Ed inoltre la “precisione” del rav Di Segni nel richiamare i grandi appuntamenti di questi mesi, tra cui il Giubileo, da una peculiare angolatura ebraica.
“La visita di Bergoglio – dice il rav Momigliano – ha un valore intrinseco, confermato nei discorsi letti in sinagoga. Anche alla luce del complesso e drammatico momento che stiamo vivendo. C’è bisogno di restare uniti, c’è bisogno che le religioni marcino insieme per irradiare luce e risolvere problemi”. Ciò detto, osserva il presidente Ari, alcune differenze sono comunque emerse. Come nel caso della definizione del moderno Stato ebraico. “Quella che per noi è Israele, per il papa è Terra Santa. Due punti di vista diversi, che sono stati chiaramente percepiti”. Resta quindi da lavorare con intensità, per appianare ostacoli e difficoltà comunicative. Come ha avuto modo di sottolineare lo stesso rav Momigliano in una intervista apparsa sullo scorso numero del giornale dell’ebraismo italiano. “È importante – ha spiegato – lavorare su un doppio binario: avanzare sul piano del reciproco riconoscimento e sulla pari dignità che deve essere accordata ai diversi interlocutori; far sì che le differenze, che esistono e vanno tutelate, non intacchino un lavoro comune sui grandi temi dei nostri tempi”.
Grandi temi che, diceva, non sono solo condanna dell’orrore e richiesta ai musulmani moderati “di rinnegare gli atti atroci che vengono associati in modo blasfemo all’Islam”.
“Molto calore, poca sostanza”
“Non posso dire di essere rimasto deluso, perché in genere non mi creo aspettative, ma mi sembra che il discorso di Bergoglio in sinagoga sia stato uno dei meno entusiasmanti che gli ho sentito pronunciare”. Questa l’impressione
a caldo di Sergio Minerbi, diplomatico, scrittore, considerato fra i massimi esperti delle relazioni fra Israele e il Vaticano, in visita del pontefice al Tempio Maggiore di Roma. “Non si può dire che la sua presenza sia stata una novità assoluta – sottolinea Minerbi – visto che prima di lui già altri due pontefici avevano varcato la stessa soglia, Wojtyla e Ratzinger”. La differenza si è vista soprattutto nel cerimoniale e per il diplomatico è sicuramente da interpretare come un segnale positivo il modo con cui Bergoglio si è soffermato a salutare le persone all’interno del Tempio. I contenuti invece non hanno lasciato una grande impronta, secondo Minerbi, già ambasciatore di Israele a Bruxelles. “Mi è sembrato un discorso di intermezzo. Il no all’antisemitismo, la definizione di fratelli e sorelle maggiori, il no alla violenza tra religioni, è tutto giusto ma è tutto già sentito e conosciuto”. “Forse lo sbaglio è il nostro che da lui ci aspettiamo grandi e roboanti affermazioni”.
“Se devo comparare, in ogni caso, la sua presenza al Tempio Maggiore con la visita a Cuba, allora in quest’ultima sì che c’era qualcosa di fuori dall’ordinario”.
“Se devo comparare, in ogni caso, la sua presenza al Tempio Maggiore con la visita a Cuba, allora in quest’ultima sì che c’era qualcosa di fuori dall’ordinario”. “C’è chi sostiene che Bergoglio voglia diventare un vero e proprio “amico” degli ebrei – aveva scritto Minerbi in un pezzo pubblicato sul Portale dell’ebraismo italiano moked.it alla vigilia della visita del 17 gennaio – Io non condivido questa opinione e penso che questo papa sia in bilico fra tendenze opposte in seno alla Chiesa. Il vero obiettivo sono infatti gli ortodossi, che ha incontrato per tre volte a Gerusalemme e che rappresentano la sfida più significativa per l’unificazione dei cristiani. Una meta comunque difficile e complessa”. L’auspicio del diplomatico, guardando i rapporti tra cristiani ed ebrei, è quello che si vada oltre a quelle che definisce “formule di cortesia”.
“Vogliamo sperare che al di là delle formalità si crei una vera familiarità. – afferma – Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni è certamente molto adatto a rilanciare il modello della convivenza pacifica fra le due religioni, ognuna delle quali si sforzi a rispettare la religiosità dell’altro. Per rav Di Segni il popolo ebraico è il popolo di Dio ed è normale che ci siano relazioni diplomatiche regolari fra i due popoli”.
“L’affermazione di un’Alleanza irrevocabile”
“Sono molte le ragioni di fondato ottimismo, a partire dalla conferma del comune impegno di ebrei e cristiani contro le forze avverse dei nostri tempi. Il più significativo dei presupposti per lavorare bene insieme”. Bilancio della visita decisamente positivo per Lisa Billig, rappresentante in Italia e presso la Santa Sede dell’American Jewish Committee. “Siamo minacciati da un nemico terribile, che agisce nel solco di terrorismo ed estremismo ideologico e religioso. Le parole pronunciate in sinagoga – osserva – costituiscono un eccellente argine comune”. Nessun riferimento inedito in Bergoglio? Non c’è da sorprendersi, dice Billig. E questo perché, in fondo, “ha già detto tutto negli scorsi mesi”.
“È fondamentale che gli ebrei si rendano conto che in questa situazione vi sono complicazioni interne molto forti, di cui Bergoglio ha evidentemente tenuto conto” dice Alberto Melloni, storico del Cristianesimo. “Anche nel suo discorso – prosegue – il papa ha voluto sottolineare un aspetto importante, quello dell’irrevocabilità dell’Alleanza, affermazione che fatta davanti ai cardinali ha un peso notevole. È un punto teologico importante. Ed è rilevante il fatto che abbia ricordato come a Buenos Aires visi- tasse le sinagoghe, e che partecipasse al culto”. Il richiamo all’universalismo, e l’uso di riferimenti non specifici a un luogo e a un tempo – conclude Melloni – “sono chiari messaggi a coloro che dell’universalismo sono stati maestri e un rifiuto del rischio
di politicizzazione dell’incontro”.
da Pagine Ebraiche, febbraio 2016
(18 gennaio 2016)