Memoria – Ricordiamo
La storia è una madre scarmigliata, sbigottita. Ha perduto i gioielli che una volta l’ornavano. “Testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità”, chi la loderebbe ancora con le parole di Cicerone? E chi ormai la corteggia, questa “magistra” infelice, che non hai mai saputo educare i propri figli? Il mondo digitale fluisce, riluce, svanisce. Non è la durata della storia, che ci interessa, ma quella breve dell’evento. Chi sa ricaricarla, la batteria del passato, come si fa a riaccenderla e a quale scopo? La tradizione rabbinica, che di memoria si nutre, può forse aiutarci a distinguere l’essenziale. “Ricordati cosa ti fece Amalec”, recita il Deuteronomio (25. 17). Questo “ricorda”, che costituisce uno dei 248 precetti positivi, è da osservarsi in ogni luogo e in ogni tempo. Poco importa che del popolo degli amaleciti si sia persa la cognizione esatta. È la loro azione che deve restare, nitida, ben scolpita nella consapevolezza collettiva: “Ricorda Amalec … quando ti assalì per strada e colpì tutti i deboli che erano dietro, mentre tu eri stanco ed esausto”. Un agguato carovaniero nel deserto, un’incursione furtiva contro le retrovie, la sopraffazione degli ultimi, di coloro che sono stremati. E per di più, una violenza proditoria, che approfitta della stanchezza di quanti avrebbero potuto proteggere i deboli, che fanno fatica a tenere il passo. Questa della memoria ebraica non è la storia ampia, paludata di retorica dell’umanesimo. È un ricordare teso, d’emergenza, nella solitudine e nella stanchezza. Quando siamo esausti, e quando è l’indifeso a esser preso di mira, allora vale la pena, anzi è doveroso tenerselo alla mente. Un precetto negativo, di segno opposto, ingiunge di sradicare il malvagio di cui si commemora l’attacco: “Cancella la memoria di Amalec di sotto il cielo: non te ne dimenticare” (Deut. 25. 19). Se è storia, lo è in maniera selettiva, per un episodio, allora e ora, che riguarda “tutti i deboli”. A vestirla così, di panni essenziali, di quelli che s’indossano nel viaggio e nella fatica, la madre spossata, di cui non vorremo più sentir parlare, ci pare di nuovo attraente. Oggi, in Europa e ovunque nel mondo, il ricordo è un dovere. Amalec colpisce, con cattiveria, proprio quando il cammino è più impervio.
Giulio Busi, ebraista
Pagine Ebraiche, gennaio 2016
(20 gennaio 2016)