In ascolto – Jazz a Praga
In queste settimane ho la fortuna di seguire un progetto che mi sta molto a cuore e mi ritrovo spesso a parlare della Praga del primo Novecento, una città cosmopolita, animata da quei fermenti culturali che trovano espressione nei diversi caffé letterari come il Louvre, il Zentral, l’Arco, l’Edison e il Continental, ma anche nelle decine di osterie caratteristiche e nei locali amanti delle avanguardie, come il Montmartre, inaugurato nel 1911, un vero e proprio simbolo del melting pot boemo. È il regno di Egon Erwin Kisch, che tra gli altri meriti ha quello di portare a Praga il tango. Nelle sale affollate di arte cubista, si ritrovano letterati, pittori, poeti ebrei e anarchici cechi e dalla loro proficua collaborazione con i compositori nascono interessanti “sintesi creative inedite”, che si prefiggono l’obiettivo di prendere le distanze da un romanticismo ormai vecchio e superato. Nelle bettole si esibiscono anche i ballerini di tip tap ed Emca Revoluce fa scandalo danzando sulle note della Alexander’s Ragtime Band. Al Palac Lucerna, icona del cosmopolitismo e della modernità giunge la grande rivoluzione musicale dall’America, il jazz, che affascina tanti artisti importanti: Rudolf Antonín Dvorsky, che nel suo swing da ballare spesso ammicca ai temi della tradizione popolare, Karel Vlach, la risposta praghese a Benny Goodman, che, sprezzante del regime, collabora con i compositori e gli arrangiatori vittime degli attacchi fascisti ed Erwin Schulhoff, pianista e compositore straordinario che nei suoi Cinq Etudes de Jazz amalgama sonorità molto diverse, dalla percussività di Prokofiev al lirismo di Gershwin, in uno stile assolutamente unico e originale. E in questo gran “fracasso”, nel quartiere di Malá Strana, arriva anche la tradizione ebraica dell’est. Il Café Savoy che a detta di Max Brod era “piccolo e poco invitante”, oggi è uno splendido locale in stile belle époque, con il soppalco e il soffitto riccamente decorato, illuminato da grandi lampadari di cristallo. Nel 1910 diviene il palcoscenico della commedia in yiddish. Il protagonista è l’attore polacco Yitzhak Löwy, di cui Franz Kafka diviene ben presto estimatore e amico. Löwy gli racconta della vita ebraica in Polonia, della tradizione e degli shtetl e gli legge poesie in yiddish. Lo scrittore è colpito dalla sua vitalità, dal modo di parlare che ritiene migliore di qualsiasi declamazione o canto. Max Brod arriva addirittura a sostenere che, per poter imparare qualcosa sull’essenza dell’ebraismo, diano maggior frutto queste rappresentazioni di qualsivoglia argomentazione filosofica su chi siano o non siano gli ebrei dell’ovest. La realtà com’è immaginabile, è assai diversa e Yitzhak Löwy di mestiere fa il guitto, ma per Kafka e compagni racconta di un’identità che loro, ebrei occidentali, non hanno mai conosciuto.
Consiglio d’ascolto: Erwin Schuloff, Cinq Etudes de Jazz
Maria Teresa Milano
(21 gennaio 2016)