Qui Milano – Segnalibro La sfida di raccontare la Storia
La Memoria deve essere viva. Dobbiamo trarre un significato attuale dalla Shoah. Perché non accada mai più. Solo alcune delle affermazioni che ritornano quando si parla del Giorno della Memoria. Ma cosa significano veramente? Qual è il ruolo della Storia, del passato, nelle nostre vite? A interrogarsi su questi temi saranno domani (ore 18.30) lo storico David Bidussa direttore della Biblioteca della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Riccardo Chiattelli, direttore di laeffe, Danilo De Biasio, giornalista di Radio Popolare, e lo storico Carlo Greppi, protagonisti dell’incontro “Quante storie. Linguaggi della memoria”, presso la Libreria Feltrinelli di piazza Duomo a Milano. Un appuntamento per parlare della storia e dei modi, i linguaggi e le chiavi narrative per raccontarla. Temi che sono anche al centro della nuova pubblicazione firmata da Bidussa, Greppi, assieme al giornalista e scrittore Paolo Rumiz: Il passato al presente. Raccontare la storia oggi, ebook edito da Feltrinelli che da domani sarà disponibile online. “Oggi siamo a un bivio della memoria. – si legge nell’introduzione del libro – Aumentano le nostre conoscenze, le informazioni sul nostro passato e gli studi che lo ricostruiscono, eppure ci troviamo a vivere in un eterno presente, nel quale la consapevolezza di essere collocati in un tempo, tra un passato e un futuro, sembra smaterializzarsi progressivamente”. E qui si inseriscono le riflessioni di Bidussa, Greppi e Rumiz che restituiscono, attraverso percorsi e prospettive differenti, significato allo studio della storia. “La sfida del racconto della storia – spiegano gli autori – ci chiede allora di mettere in gioco non soltanto le competenze professionali proprie di chi svolge il “mestiere di storico”, ma anche il coinvolgimento attivo, emotivo, le inquietudini o le richieste esigenti di chi il racconto della storia finora l’ha solo ricevuto passivamente. Ci chiede, in poche parole, di andare oltre il libro di storia”. Di seguito un estratto del brano dello storico David Bidussa.
Oltre il libro di storia
Non è finito il libro di storia. È finito o non più funzionante il racconto della storia solo con i libri.
Affronterò la questione seguendo tre percorsi. I primi due sono più concettuali, il terzo è una proposta operativa, di metodo, ma anche di contenuto concreto. In quella terza parte tenterò di dare delle risposte intorno alla domanda: come si legge un fatto storico?
Il primo: che cosa è cambiato negli ultimi vent’anni con l’esplosione della questione del testimone nella narrazione del passato? La seconda: sono ancora i libri di storia a raccontare il passato? La terza: come si ricostruisce il passato “a parte intera” una volta verificato che né il libro di storia è capace di raccontarlo, né la testimonianza è in grado di restituirci per intero la scena del passato? L’ultima questione, in particolare, vede anche noi sul banco dei “sospetti”, poiché andiamo in cerca di ciò che del passato non è raccontato. Ma procediamo con ordine.
Spesso la Storia (meglio: la narrazione storica) è stata valutata come il racconto ufficiale, come il prodotto accreditato da una versione pubblica che escludeva i marginali, le minoranze, gli sconfitti. Al contrario, i percorsi di memoria sono stati valorizzati per la loro qualità di essere sfuggenti, non controllabili dalla narrazione pubblica, funzionando da rovesciamento del senso comune, e dunque di dare dignità di storia “altra” a chi fino a quel momento una storia l’aveva solo nelle pieghe della storia degli altri.
Raccontare la storia è stato assimilato alla necessità di raccontarne un’altra, dando spazio alle voci di “coloro che la storia l’avevano vista” e che sapevano non essere coincidenti con quella pubblica. Forse anche quel ciclo oggi è sul punto di chiudersi. A che punto siamo allora? E quali sono le questioni che abbiamo davanti nell’era della post-memoria? Una volta che le voci testimoniali di un evento scompariranno che cosa avremo noi? Come elaborare quel vuoto? Non è la questione del lutto o dell’assenza, ma quella della capacità che quelle voci parlino e siano in grado di suscitare domande e non di riprodurre se stesse, ovvero di fornire indizi, temi, questioni, domande, contesti, eventi su cui si è attivata la memoria e si cono confrontate memorie (individuali e di gruppo).
La post-memoria dunque è una condizione culturale che obbliga a riflettere su ciò che ereditiamo, sulle forme del sapere e della coscienza pubblica che abbiamo acquisito, sul rapporto che intratteniamo col passato. Una condizione che allude a come lavorare su una vasta gamma di documenti per avere consapevolezza del passato in una condizione che spesso si origina dalle domande che viviamo nel presente. Le questioni cui dobbiamo tentare di dare una risposta sono, per esempio: come sentiamo oggi il racconto della storia? Cosa ci muove? Quanta consapevolezza storica abbiamo oggi? Quale lo scarto o la differenza rispetto al passato? Sono cambiate le nostre domande rispetto al passato? Siamo in grado o no di interrogare in forma critica e non aprioristica il nostro presente? In sintesi: la nostra competenza storica (non la nostra conoscenza dei fatti) è aumentata?
La mia risposta è scettica. La mia perplessità discende da un duplice groviglio di questioni. Nel momento in cui la testimonianza o la voce testimoniale è entrata a far parte a pieno titolo, legittimamente, delle fonti e dei documenti che uno storico deve prendere in carica se vuol tentare non solo di descrivere, ma anche di comprendere un fatto storico, dobbiamo avere consapevolezza che quella fonte ci da molte informazioni, ma che crea alcuni problemi. La storia orale ricostruisce il passato, non solo ricorda, ma talvolta persino lo “inventa”. Dunque la testimonianza aggiunge, ma allo steso tempo complica.
David Bidussa
(26 gennaio 2016)