“Anne, un insegnamento attuale”
Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank? A chiederselo sono più di un milione di persone che nel 2015 hanno deciso di visitare il rifugio di Amsterdam nel quale ripararono i Frank per sfuggire alle persecuzioni naziste, fino a quando non furono denunciati da ignoti e deportati ai campi di sterminio.
A domandarselo ogni giorno è Ronald Leopold, direttore dal 2011 della Casa di Anne Frank che per il sesto anno consecutivo ha raggiunto il record di visitatori (precisamente un 1.268.095, con un aumento di più di 40mila persone rispetto al 2014), che oggi inaugurerà la mostra “Anne Frank. Una storia attuale”, ospitata dalla Fondazione Museo della Shoah di Roma alla Casina dei Vallati fino al prossimo 6 marzo.
Indirettamente il ricordo di Anne Frank è ritornato di recente ad animare le pagine dei quotidiani anche per il vivace dibattito sui diritti d’autore del suo diario che ha coinvolto il Fondo di Basilea, detentore del copyright. Il Fondo ha infatti ingaggiato una battaglia legale per prolungare i diritti del diario – scaduti a gennaio, a settant’anni dalla morte della ragazza – facendo persino emergere l’ipotesi che il padre di Anna, Otto, unico sopravvissuto, sia il co-autore del libro. Una tesi rigettata con forza dal direttivo della Casa di Anne Frank di Amsterdam e dallo stesso Ronald Leopold a colloquio con Pagine Ebraiche.
Signor Leopold, cosa possiamo dire sulla mostra che viene inaugurata a Roma “Anne Frank. Una storia attuale”?
Come spiega il titolo stesso, la vicenda di Anne Frank apre una finestra sulla tragica storia delle persecuzioni; una storia attuale, anche alla luce dei terribili attacchi subiti negli ultimi mesi dalle comunità ebraiche europee e che viaggia spesso attraverso il web e ai messaggi scritti online dai negazionisti. Non si tratta però solo di antisemitismo: Otto Frank diceva che la vicenda di Anne non era soltanto una storia di odio contro gli ebrei, ma di odio e basta. La sua missione era quella di contrastare l’odio. Sappiamo bene che quello che leggiamo sul diario non ha un lieto fine; Anne non è tornata ad appiccicare nella sua stanza le figurine delle attrici celebri. Ma dobbiamo imparare che quanto è avvenuto non è stato un disastro naturale, un uragano; bensì è stato perpetrato dall’uomo. La cosa più disturbante è che è stato compiuto da gente esattamente come te e come me. Anne Frank ci rende consapevoli.
Ma perché proprio lei, perché settant’anni dopo parliamo di Anne Frank?
Cito Primo Levi, il quale constatava amaramente: “Anne Frank commuove più delle innumerevoli altre vittime che hanno sofferto come lei ma i cui volti sono rimasti nell’ombra”. Forse abbiamo scelto Anne perché non saremmo capaci di sopportare sulle nostre spalle tutta la sofferenza delle milioni di persone, è come se quella ragazza e il suo essere la voce della sua generazione ci permetta di incanalare la sofferenza.
Quest’anno la casa dove si rifugiò la famiglia Frank e da lei diretta ha avuto un numero record di visitatori. Come se lo spiega e chi sono i visitatori che arrivano?
Non esiste un visitatore tipo, ognuno porta l’eredità del proprio paese e la propria personale esperienza e percezione. Una persona proveniente dal Brasile avrà una reazione diversa da un cittadino di Amsterdam. Eppure il diario colpisce universalmente tutti gli esseri umani perché è un libro che parla al mondo intero anche se non dobbiamo mai dimenticare che Anne è stata uccisa solo perché ebrea, non perché Anna. Certo magari stava antipatica a qualcuno della sua scuola perché era un peperino, ma chi ha le ha tolto la vita non lo ha fatto perché era Anna, ma perché era ebrea: punto.
Al di là di questa riflessione dobbiamo però ritornare alla domanda e riflettere sul fatto che se il numero di visitatori è cresciuto negli ultimi anni, questo sia dovuto anche al suo lavoro e quello del suo staff.
Quello che ho realizzato come direttore è che ciò che facciamo, lo facciamo non solo per noi, ma per l’eredità di quella giovane donna e di suo padre. La nostra missione è educare e contribuire a rendere il mondo un posto migliore. Non vogliamo che la casa sia solo un luogo fisico ma diventi un luogo della mente, con un suo significato metaforico.
E questo come si realizza concretamente?
Quando ho visitato per la prima volta la Casa di Anne Frank ero solo un bambino e vivevo nell’ombra della Guerra. Ora la sfida di chi dirige questo luogo è cambiata perché arrivano persone di tutte le provenienze e dobbiamo dar loro un contesto, un background. Ci troviamo di fronte a un’impresa difficile perché la Casa è il luogo del vuoto, del silenzio. Noi raccontiamo la sua storia, ma lei non c’è più, come non c’è più quell’Amsterdam ebraica spazzata via dalla Shoah. Vogliamo che quel vuoto resti intatto, perché sono il vuoto e le persone che lo visitano che riempiono di significato. Per quanto siano fondamentali i musei della Shoah, la Casa di Anne Frank non diventerà mai uno di essi: dobbiamo proteggere il suo vuoto.
Ogni anno, il Giorno della Memoria fissato il 27 gennaio apre un dibattito: c’è chi lo reputa un momento necessario e chi critica l’esistenza un anniversario che rischia di logorarsi con il passare del tempo. Cosa ne pensa?
Parlo da una prospettiva olandese e dico che Amsterdam non sarebbe la stessa città se non ci fosse stata la Shoah e nemmeno Roma sarebbe la stessa. Allora il 27 gennaio serve se ci si prende un momento per riflettere sull’effetto che la storia ha avuto sulla nostra città, sulla nostra quotidianità.
Negli ultimi mesi il Diario di Anne è stato al centro di una battaglia sui diritti d’autore che vede protagonista il Fondo di Basilea il quale vuole detenergli ancora nonostante siano passati 70 anni dalla scomparsa dell’autrice. Si è parlato addirittura di Otto Frank come co-autore del Diario, ipotesi che porterebbe un’estensione di 35 anni del copyright.
Otto non è il co-autore. Il manoscritto è stato composto tra il 1942 e il 1944. Anche se noi non c’entriamo nulla con la questione dei diritti, posso confermare che Anna è l’unica scrittrice del diario e che dire altro oltre a questo è sconvolgente, non importa cosa un avvocato possa tirare fuori. È grave sostenere il contrario soprattutto considerando che c’è ancora chi mette in dubbio la sua autenticità, chi nega persino l’esistenza di Anne Frank. Credo che la nostra missione sia quello dello sharing, della condivisione. E il nostro obiettivo è condividere la storia di Anne il più possibile.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(27 gennaio 2016)