Periscopio – Ricordare in silenzio
Anche quest’anno le celebrazioni del Giorno della Memoria si sono moltiplicate, e il coinvolgimento dei numerosi enti e soggetti coinvolti – Istituzioni, scuole, Università, centri di cultura, istituti religiosi, docenti, studenti, intellettuali, artisti, cittadini… – sembra intenso, vasto e, per lo più, sincero. Naturalmente, come sempre accade, soprattutto negli ultimi anni, si ripresentano le consuete perplessità e i soliti dubbi riguardo ai rischi e ai possibili “effetti collaterali” dell’iniziativa, fino al punto di chiedersi se essa conservi un propria utilità e opportunità.
Personalmente, condivido molti di questi argomenti, e ritengo pressoché certo, in particolare, che la Giornata della Memoria possa offrire legna da ardere al camino degli antisemiti e degli asserzionisti-negazionisti di ogni risma, i quali, solo a sentire nominare ebrei, zingari, omosessuali ecc., escono dalle loro tane, per ricordarci che esistono ancora, e farci ancora sentire i loro ululati. “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”, verrebbe da dire, col Poeta. Finché ci sarà un solo ragazzo che ci chiederà, con sguardo limpido, “dimmi cosa è accaduto, voglio sapere” – e io ne ho incontrati tantissimi -, la celebrazione della Giornata della Memoria resterà un atto dovuto, e disertarla sarà impossibile.
Resta da chiedersi, certamente, se essa serva veramente a ricordare (come parrebbe indicare il suo titolo), o non, piuttosto, a dimenticare. O meglio, a creare un’immagine edulcorata, accettabile, trasmissibile, di qualcosa che, nella sua intima realtà, resterà oscuro e ignoto per sempre, sigillato nella sola esperienza muta delle vittime: di coloro che, come scrisse Primo Levi, sono rimasti pietrificati dallo sguardo della Medusa. Nessuno saprà mai cosa hanno provato coloro che sono periti, come disse Levinas, con la sensazione che, insieme a loro, perisse la stessa distinzione tra il bene e il male, e che la morale universale avesse subito un mostruoso capovolgimento: con la tremenda idea che il male che li schiacciava avesse ormai trionfato, e che il loro sacrificio non sarebbe mai stato ricordato da nessuno, se non come l’adempimento di un atto dovuto, il compimento di una purificazione igienica richiesta dal nuovo, trionfante regno di Satana.
Il Giorno della Memoria è dedicato a qualcosa che non può essere ricordato o commemorato, semplicemente perché nessuno lo ha mai visto o conosciuto. Dovrebbe essere chiamato, forse, Giorno del Silenzio, e tutti i conferenzieri, i professori, i musicisti, gli artisti, dovrebbero restare muti e immobili innanzi al loro pubblico, manifestando la loro assoluta impotenza a rendere testimonianza di qualcosa di cui non si può parlare.
Ma l’uomo, sappiamo, è un animale parlante. E la parola ‘silenzio’ è pur sempre una parola, che deve essere pronunciata, spiegata, ascoltata. Continuiamo pure, dunque, a coltivare la Memoria, a raccontare qualcosa che non conosciamo, che non potrà mai essere conosciuto o svelato. E credo che chi lo faccia, con buone intenzioni, debba innanzitutto evitare il rischio, molto presente, di considerare la Giornata della Memoria come una sorta di ‘festa nazionale’, al pari del 2 giugno o del 25 aprile, con i suoi inni, i suoi discorsi e le sue parate. Come la celebrazione di una vittoria conseguita, una sorta di rassicurante rassegna delle forze del bene, nell’errata e pericolosa convinzione che quelle del male, una volta per sempre, siano state sconfitte. “Come non ‘festeggiare’ la Giornata della Memoria”, è il titolo di un illuminante saggio introduttivo di Stefano De Matteis contenuto in una bella pubblicazione di Pino Ruocco, distribuita, per l’odierna ricorrenza, in occasione di una manifestazione a Sorrento. Non è una festa, non ricordiamo nessuna vittoria, non c’è proprio niente da festeggiare.
Del pari inadeguata mi parrebbe ogni rappresentazione intesa come solo ‘ricordo’, volta esclusivamente al passato: un semplice omaggio alle vittime di ieri, nell’indifferenza verso quelle di oggi e verso le vittime designate di domani, proprio nel momento in cui queste ultime vengono scelte e additate con le stesse parole, lo stesso sguardo e lo stesso animo dei carnefici di ieri. Commemorare i morti di ieri è molto facile, molto comodo, ma può essere un’operazione vuota, inutile e retorica se non accompagnata a una presa di coscienza, una vigilanza e un impegno – certo molto più impegnativi – riguardo al presente e al futuro: a una consapevolezza che gli uomini, nel bene e nel male, sono sempre gli stessi, e che la Gorgone ha cambiato volto e linguaggio, ma non è morta.
Francesco Lucrezi, storico
(27 gennaio 2016)