Diritto positivo

Sara Valentina Di Palma Oggi, a seguito di un acceso dibattito sulla liceità di disobbedire alla maestra nel caso di ordini ingiusti, abbiamo parlato dell’Antigone sofoclea e della legittimità del diritto positivo, e abbiamo raccontato questa storia.
Entrate nel Tempio di Firenze, percorretelo per una decina di passi e voltatevi indietro. Da questa distanza si vede bene, più o meno a metà delle porte, il segno lasciato dall’acqua quando la mattina presto del 4 novembre 1966 arrivò la piena dell’Arno. Sono circa due metri, e quei due metri di acqua, nafta e fango entrarono nell’Aron HaKodesh. 120 erano i Sifrei Torah presenti allora, rotoli antichi e preziosissimi che erano stati salvati durante la Shoah, grazie all’intervento del Rabbino capo Nathan Cassuto z.l. il quale li aveva messi al sicuro prima dell’arrivo dei soldati hitleriani, prima delle razzie, prima delle deportazioni e dell’assassinio di oltre 350 ebrei fiorentini.
L’arrivo dell’acqua in Tempio colse tutti impreparati, e nonostante il rabbino capo Ferdinando Belgrado z.l. si sia prodigato in prima persona per salvare i Sefarim trasportandoli in matroneo, 94 rotoli subirono l’attacco dell’acqua. I rotoli danneggiati furono portati a Roma e aperti in Tempio maggiore, sulle panche, decine di metri di pergamena ad asciugare nella speranza che fossero ancora kasher.
La devastazione a Firenze fu tale, e tanto desolante il panorama offerto dalle panche spostate e infangate, che uno tra i primi soccorritori, un volontario proveniente dalla comunità di Roma, non resse. Era, Luciano Camerino z.l., un quarantenne sopravvissuto alla Shoah: arrestato il 16 ottobre 1943 insieme ai fratelli Vanda ed Enzo, ai genitori e a uno zio materno nella prima retata romana, era stato immatricolato ad Auschwitz Birkenau con il numero 158510. Sopravvissuto, come pure il fratello Enzo (il più giovane superstite del rastrellamento del 16 ottobre).
Tornato dai lager nazisti, Luciano si era preso la rivincita sulla morte sposandosi e mettendo al mondo tre figlie. A Roma gestiva una rosticceria kasher, ed era molto generoso: attivo nel Maccabi, la società sportiva della comunità ebraica, aveva a cuore non solo lo sport ma soprattutto i ragazzi, la loro partecipazione, il loro entusiasmo. Forse proprio per questo fu tra i primi ad accorrere a Firenze per aiutare, ma quando vide il Tempio profanato dall’acqua, Luciano ebbe un attacco di cuore che non superò.
Zachor, ricorda! È imperativo della storia e dell’identità ebraica: per ricordare quegli oltre novanta Rotoli persi per sempre a causa dell’acqua, le cui macchie indelebili ne decretarono l’impossibilità di ritornare nell’Aron e la necessità di seppellirli in cimitero, ancora Rav Ferdinando Belgrado z.l. volle che uno tra essi non fosse sepolto, per essere invece collocato al primo piano del Museo Ebraico, quando questo venne inaugurato nel 1981. In modo che tutti possano ricordare la tragedia dell’alluvione, e con essa Luciano Camerino z.l.. È vero, per la Halachah i rotoli pasul dovrebbero essere in ghenizah prima e in cimitero poi, non esposti in un museo. Ma la decisione di Rav Belgrado z.l., ei bambini erano d’accordo, ricorda ogni volta Antigone e la necessità di far valere dei valori morali prima ancora della legge.

Sara Valentina Di Palma

(28 gennaio 2016)