In ascolto
Musica e umanità
È il 19 gennaio 1942. Adolf Eichmann effettua la sua visita a Terezin, un luogo dalle tante funzioni: campo di raccolta per ebrei cechi, ghetto per anziani e per ‘privilegiati’, ma soprattutto ghetto modello, strumento della propaganda nazista. In quella che Chaim Potok avrebbe definito “fucina di cultura” vengono internati intellettuali e conferenzieri, scrittori, artisti, educatori e straordinari musicisti. Fare musica a Terezin significa esprimere la propria identità ovvero appartenenza culturale, vuol dire salvaguardare la dignità di esseri umani, educare, regalare consolazione e speranza. Ma soprattutto significa opporre resistenza al male e protestare contro il regime.
In quest’ultimo senso si muove Rafael Schaechter, direttore d’orchestra a cui è affidato il compito di allestire un concerto per la visita di Eichmann al campo. Il racconto e il significato di quella scelta è dato da Josef Bor, scrittore ceco:
“Calò il silenzio. Schaechter si voltò verso l’orchestra. […] In quel momento un silenzio strano, insolito nel campo,si impadronì della sala. Non era il mutismo delle pareti nude o quello della paura, ma il silenzio palpitante dell’attesa, per certi versi paragonabile forse alla trepidazione della prima carezza. La bacchetta si mosse impercettibilmente e affiorarono, appena udibili, i primi accordi furtivi del Requiem di Verdi. Schaechter ricordò l’istante preciso che l’aveva condotto a intraprendere lo studio dell’opera. Comprovare la falsità, l’aberrazione del concetto di sangue puro o impuro e di razza superiore o inferiore, dimostrarlo proprio in un campo di ebrei attraverso la musica, l’arte che forse più di ogni altra gli sembrava potesse rivelare il valore autentico dell’uomo. […] Dopo averci a lungo riflettuto aveva preferito il Requiem di Verdi a qualsiasi altra opera. Questa musica italiana, composta su testo latino, ispirata da preghiere cattoliche, sarebbe stata interpretata da cantanti ebrei, da musicisti di ogni nazionalità: Boemia, Austria, Germania, Olanda e Danimarca e alcuni anche da Polonia e Ungheria. L’esecuzione del Requiem nel ghetto sarebbe stata diretta da un maestro d’orchestra ateo. L’idea gli sembrava magnifica. […] In quell’universo assurdo di brutalità e barbarie inconcepibili, dove tutti erano stati fatti precipitare a forza, ciascuno desiderava ardentemente percepire anche la più piccola scintilla di un sentimento umano e profondo”.
Oggi non lascio alcun link per il consueto consiglio d’ascolto; ritroviamo la musica nelle parole di Josef Bor.
Maria Teresa Milano
(28 gennaio 2016)