Spotlight – Il lungo viaggio di Marina
Domenica 31 gennaio alle 16.30 alla Casa del Cinema di Roma si presenta “Tracce d’amore”, il nuovo film della produttrice Marina Piperno. Dopo una lunga carriera dietro la cinepresa, Piperno torna da protagonista e appare sulla scena per narrare la turbolenta storia della sua famiglia che, a partire dall’emanazione delle leggi razziste in poi, sarà costretta a prendere scelte inaspettate e dolorose. “La famiglia – afferma – è uno specchio paziente nel quale ci si riconosce condividendo insieme le strade percorrere”.
Una storia di gioie e dolori, di fughe e nuovi mondi, di nascondigli e nomi segreti. Ma soprattutto una storia d’amore. Di famiglia.
Si può condensare così “Tracce d’amore”, il film girato dalla produttrice Marina Piperno (che, venticinquenne, fu la prima produttrice donna d’Italia e nel 1962 fondò la Reiac film) e dal suo socio; il regista Luigi Faccini.
Dopo aver trascorso una vita intera dall’altra parte della cinepresa, Piperno ritorna da protagonista e narra agli spettatori la lunga e travolgente saga della sua famiglia, all’alba della promulgazione delle leggi razziste del 1938.
Ad aprire il film, della durata di 4 ore e mezzo e diviso in 6 capitoli, un suggestivo scorcio di Pitigliano e del suo cimitero ebraico. La scena cambia poi registro e vede al centro una foto nella quale sono raffigurate la famiglie Piperno, Sonnino, Fornari, Bises e Di Segni riunite nella loro casa di Anzio nell’autunno del 1938.
“Credo che fu proprio quello il momento – racconta Marina Piperno – nel quale i componenti della famiglia decisero di dividersi e alcuni di loro emigrarono in America per sfuggire alle leggi che li avevano isolati dal resto della società solo perché ebrei”. “Nella foto – prosegue – io appaio dubbiosa e l’aria che si respirava e che emanavano gli adulti era assai simile. C’era un senso di insicurezza”.
È dalla foto che la produttrice parte per inseguire le tracce dei suoi parenti, raggiungendoli prima in America e poi in Israele e interrogandoli, in un clima colloquiale tipico della riunione famigliare, sulla loro identità ebraica e sulle lacerazioni ereditate dalla ferita della guerra.
“La famiglia – dice Piperno – è uno specchio paziente nel quale ci si riconosce condividendo insieme le strade percorrere”.
Nel 1938, racconta, suo padre Simone andò negli Stati Uniti a tastare il terreno e prevedere un possibile trasferimento. Gli americani però limitarono l’accesso e impedirono alla nonna Rachele di unirsi a loro. Fu così Simone decise di rimanere a Roma con sua moglie e i figli.
“Ho passato un’infanzia all’insegna della separazione, della diversità e dell’esclusione. Dovevo studiare nella scuola ebraica e avevo come voti tutti lodevoli, persino in Storia del fascismo. Che vergogna. Dicevano che gli ebrei erano il male del mondo, ci isolavano, ma ci obbligavano persino a studiare Storia del fascismo” spiega la produttrice, mentre mostra alla telecamera le pagelle scolastiche. Quando il 16 ottobre 1943 gli ebrei di Roma furono arrestati dai nazifascisti, la famiglia Piperno venne avvertita della retata e così, lasciando intatta la propria casa, si mise in cammino alla ricerca di un rifugio.
“Percorremmo una strada lunga e stretta fino a che una porta si aprì e venimmo ospitati da una famiglia che ci fece dormire su dei letti di fortuna. Io non capivo e volevo uscire; fu allora che ricevetti da mio padre l’unico schiaffo della mia vita”, rievoca la produttrice.
“Tracce d’amore” viaggia continuamente su due piani, quello del passato e quello del presente, affastellando l’una sull’altra foto, documenti ritrovati e sovrapponendoli ad immagini festose di famiglie moderne e cosmopolite. Ad ognuno dei protagonisti viene fatta la stessa domanda: Che ebreo sei? Ricevendo, il più delle volte, risposte davvero sorprendenti.
Rachel Silvera
Pagine Ebraiche, febbraio 2016
(29 gennaio 2016)