Rouhani e le domande scomode
Due modelli a confronto
Continua il dibattito all’interno del mondo giornalistico su quanto accaduto negli scorsi giorni nel corso della conferenza stampa organizzata a Roma dall’ambasciata iraniana durante la quale il redattore dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Adam Smulevich ha posto al presidente Hassan Rouhani una domanda sui diritti civili negati, eludendo la rigida censura dei funzionari di Teheran e ottenendo in cambio il rigoroso silenzio dal leader sciita, fino ad allora prodigo di proclami propagandistici, che ha lasciato la sala visibilmente infastidito.
“Abbiamo anticipato i temi che intendevamo toccare. Ma nessuno si è sognato di chiederci nel dettaglio le singole domande”. Caporedattore Esteri di Le Monde, Christophe Ayad (nell’immagine) ha intervistato Rouhani assieme ai colleghi Marc Perelman e Ludovic Piedtenu. Dalla crisi siriana al conflitto tra sunniti e sciiti, dalla fine dell’embargo alla negazione dei diritti umani. Temi veri, domande vere. Che la stampa italiana si è ben guardata dal porgli.
“Sunto della conferenza stampa di Rouhani a Roma: non fate domande non vi saranno risposte bugie”, il pensiero di una collega che ha partecipato all’incontro.
Come ci conferma Ayad con la sua testimonianza, il confronto risulta impietoso.
A Parigi infatti le due conferenze stampa che sono state organizzate, pur ristrette come tempistica, non hanno visto soggiacere i colleghi alle richieste di funzionari iraniani incaricati di censurare le domande scomode. A Roma, come noto, è successo esattamente il contrario.
E così, mentre da noi Rouhani ha parlato della straordinaria ospitalità italiana e del sole “che splende su Roma”, ai giornalisti di Le Monde ha dovuto rispondere a domande un filino più pertinenti. Come una richiesta di chiarimento sulla continua incarcerazione di giornalisti e sulle condanne a morte comminate a minorenni, nonostante “i passi in avanti su diritti umani e libertà di espressione” promessi in campagna elettorale.
“Il punto è questo: siamo giornalisti e le domande dobbiamo farle. Sta poi al nostro interlocutore decidere se rispondere o meno. Ogni altra soluzione non è compatibile con il lavoro e con la funzione che siamo chiamati a svolgere nella società”, sottolinea Ayad a Pagine Ebraiche.
“Una situazione come quella verificatasi a Roma, con il controllo preventivo delle domande e l’accettazione passiva di questa richiesta, non si sarebbe mai potuta verificare in Olanda. I giornalisti non avrebbero accettato questa umiliazione, si sarebbero fatti sentire. E non solo in Olanda, anche in molte altre nazioni d’Europa. Come Inghilterra, Germania, Svezia” ci spiega Maarten Van Alderen, corrispondente del Telegraaf ed ex presidente dell’Associazione Stampa Estera. “Visto come sono andate le cose – aggiunge poi – ho fatto bene a non partecipare a un incontro così inutile”.
Di domande scomode Ahmad Rafat se ne intende. Sono oltre 30 anni che non può tornare a Teheran per via del suo impegno da giornalista libero, che incessantemente denuncia i crimini e i soprusi compiuti dai diversi regimi iraniani. Quando era vicedirettore dell’Adnkronos, nel 2008, fu persino cacciato dalla sede romana della Fao, dove di lì a poco avrebbe dovuto parlare Ahmadinejad. “Scoppiò un caso internazionale” ricorda Rafat, cui fu impedito l’accesso alla sala. Pochi mesi dopo a Ginevra, nella sede delle Nazioni Unite, un nuovo momento di tensione. Rafat chiede conto al leader iraniano della costante negazione dei diritti compiuta sotto il suo governo. Ahmadinejad non risponde, preferendo – pochi istanti dopo, in un corridoio – far rispondere un uomo della sua scorta che aggredisce il giornalista. “Mi mise letteralmente le mani alla gola, fu un gendarme svizzero a impedire il peggio”, spiega Rafat. Sulla conferenza stampa romana il collega ha le idee chiare: “Uno spettacolo pietoso, per tutta la categoria”.
(31 gennaio 2016)