Eccellenza e integrazione,
la realtà del Technion di Haifa

Schermata 2016-02-02 alle 16.17.37“Per quattro anni ho visto con i miei occhi ragazzi ebrei, musulmani, cristiani e drusi sedersi nelle stesse aule e passeggiare l’uno di fianco all’altro nel pieno rispetto del prossimo”. Questa la frase che sintetizza l’esperienza di Nathan Nacamulli, laureato in Ingegneria Civile e Ambientale, al Technion di Haifa. Come lui, sono molti gli studenti ed ex studenti italiani dell’ateneo pronti a smentire l’appello per il boicottaggio lanciato negli scorsi giorni da un gruppo di accademici italiani. “Collaborare con il Technion significa rendersi attivamente partecipi del regime di occupazione, colonialismo e apartheid d’Israele e in questo modo essere complici del sistema di oppressione che nega ai palestinesi i loro diritti umani più fondamentali”, il delirante atto di accusa dei firmatari.
FullSizeRender“Personalmente posso dire di aver studiato in complete sintonia in classe con studenti arabi israeliani residenti a Gerusalemme est, oppure di aver lavorato in gruppo con studenti cinesi, tibetani e indiani che non hanno mai posto barriere politiche alla collaborazione negli studi”, sottolinea Manuela Vaturi, che da un anno lavora come ingegnere civile dopo aver concluso i suoi studi al politecnico israeliano.
“Come italiano, non mi identifico quando sento queste accuse dettate dall’ignoranza, la cui falsità è testimoniata dall’alta percentuale di studenti arabi israeliani che frequentano con profitto il Technion”, aggiunge Dan Terracini, che dopo la mechinah inizia ora i suoi studi di ingegneria elettrica.
Schermata 2016-02-02 alle 16.18.07“Ricordo che amavo pregare a Minchah, la preghiera pomeridiana, in un angolo poco frequentato della facoltà”, la testimonianza di Nacamulli.
“Lì spesso e volentieri trovavo ragazzi arabi inchinati a terra a fare la loro preghiera pomeridiana. Con il sorriso sulle labbra e con la massima discrezione, per non disturbare ovviamente, mi allontanavo e mi trovavo un altro angolino”. Ma gli esempi virtuosi di convivenza tra le diverse anime di Israele sono molti, e come spesso accade anche lo sport aiuta a superare le barriere.
“Ho fatto parte della squadra di calcio a 5 del Technion, che tra l’altro è seconda tra le squadre universitarie del paese”, racconta ancora Nathan. “Avevo compagni di squadra ebrei, musulmani e cristiani, ragazzi religiosi, come me, ma anche atei o quasi. Durante gli allenamenti si rideva e si scherzava assieme e durante le partite davano tutti il massimo per i propri compagni e per il bene della squadra”.
A colloquio con Pagine Ebraiche, il presidente dell’Italian Technion Society Piero Abbina ha invitato a ridimensionare la portata dell’iniziativa di boicottaggio, sottolineando il numero poco significativo di aderenti,”come poco significativo è il curriculum di quasi tutti i firmatari, assolutamente non di primo piano. Si tratta – le sue parole – in gran parte di pesci piccoli”. Ciononostante, Dan afferma di sentirsi “offeso”, in particolare perché “la storia ha dimostrato quanto sia pericoloso quando si seguono le opinioni non fondate della massa”. Quella del Technion è stata per lui una scelta dettata dalla buona fama dell’ateneo: “Certo, ho deciso di studiare in Israele perché amo Israele, ma in primo luogo perché so che ho scelto un’università che rappresenta lo sviluppo, la tecnologia e l’innovazione”.
“Educazione e politica – sottolinea Manuela – dovrebbero sempre distinguersi per poter assicurare l’imparzialità dell’insegnamento. Il Technion è un esempio eclatante di rispetto, integrazione e imparzialità. Ogni studente viene rispettato a prescindere dal suo orientamento politico o religioso. La missione del Technion – aggiunge – è quella di perseguire la strada della ricerca scientifica, i cui risultati portano vantaggi oggettivi, in svariate discipline, a tutta la popolazione mondiale”. E sull’eccellenza dell’università in cui ha studiato, anche lei non ha alcun dubbio: “I miei quattro anni al Technion sono stati l’esperienza di formazione più significativa della mia vita. Se oggi dopo solo un anno dal termine dei miei studi posso dire di essere un giovane ingegnere di successo nel più grande progetto di infrastrutture del paese è sicuramente grazie alla qualità dell’insegnamento accademico e morale ricevuto”.

Francesca Matalon

(2 febbraio 2016)