Religioni e civiltà – Il bilancio di guerra dell’Isis

vercelliFacciamo i conti in casa altrui. Magari anche le pulci. Ancora una volta il vero problema è capire quanto siano attendibili i pochi dati che si hanno a disposizione, raccolti dalle Intelligence occidentali. Poiché è parte della stessa guerra la confusione sui numeri, i valori, le misure. Il riferimento, ancora una volta, è al sedicente califfato messo in piedi, tra Iraq e Siria, da Abu Bakr al- Baghdadi. Il quale deve operare su due fronti: quello militare e quello civile. Nel secondo caso si potrebbe pensare a una qualche forma di assestamento, ma non è necessariamente così. Continua a mantenere un discreto seguito nelle campagne, mentre arranca nelle aree urbane. Sul piano militare, dove innanzitutto prevalgono le esigenze della forza combattente, la capacità di assorbimento delle risorse disponibili supera qualsiasi investimento di altro genere. Dal momento dell’avvio della loro espansione, i miliziani dello Stato islamico, in circa un biennio, dovrebbero avere raccolto complessivamente poco meno di un miliardo di dollari di proventi. La provenienza di questi, si tratta oramai di fatto risaputo, dipende da molti elementi, tra i quali l’esazione fiscale, la vendita del greggio sottobanco ma anche e soprattutto la politica di rapina dei beni altrui. Una condotta, quest’ultima, che si rivela di breve respiro, poiché aliena le simpatie di chi subisce il danno. Non di meno, la difficile comprensione delle dinamiche interne al Daesh sta anche nella rigida centralizzazione del comando, alla quale – tuttavia – si affianca l’autonomia delle componenti combattenti. Esigenza, quest’ultima, ineludibile in una guerra di guerriglia condotta sul campo e di taglio dichiaratamente terroristico. Succede quindi che a fronte del controllo esercitato dai vertici – per i quali la “stabilizzazione” dei proventi, l’identificazione dei cespiti su cui esercitare il prelievo di tributi ma anche la normalizzazione dei processi economici costituiscono elementi fondamentali, se non imprescindibili,per il proprio radicamento politico – si accompagni la tendenza a fare in proprio da parte delle unità militarizzate. Non di meno, la suddivisione del territorio controllato da Daesh in province (Wilayet), se è funzionale a una ramificazione territoriale favorisce anche l’autonomia delle singole unità amministrative. Su un ipotetico budget annuale di circa seicento milioni di dollari per l’anno appena trascorso, si ritiene che due terzi delle spese riguardino le voci relative agli armamenti, ai combattenti e alle loro famiglie. Di fatto lo Stato islamico si alimenta di un vero e proprio Warfare, dove l’economia di guerra è il punto di sintesi tra interessi diversi. La forza combattente conterebbe su trentamila effettivi e una cifra variabile tra i cinquantamila e i settantamila ausiliari. In un mese, una ventina di milioni sono destinati ai “professionisti”, il nocciolo duro delle milizie; una cifra simile serve anche per gli ausiliari; almeno una decina di milioni è investita nelle attività di sicurezza e di polizia. Quel che resta viene infine diviso tra i diversi capitoli di spesa non ascrivibili al “mestiere della guerra”. Vi sono poi i criteri di remunerazione: un combattente locale vale la metà di un foreign fighter. Il rapporto è di trecento dollari per il primo di contro ai seicento dollari, se non più, assegnati al secondo. Per ogni moglie e per eventuali figli sono poi riconosciuti dei bonus periodici. Manca comunque una contabilità centralizzata ed è facile immaginare che ci sia chi faccia la cresta. Non di meno, i singoli responsabili delle province sicuramente cercano di fidelizzare la fedeltà dei loro sottoposti con elargizioni clientelari. Voci di spesa che non risultano in alcuna rendicontazione ma che occorrono per rigenerare consenso. Ancora una volta si conferma un assunto: la forza di Daesh deriva dalla debolezza dei regimi che ha rimpiazzato. L’indecoroso tracollo di questi ultimi, infatti, è la vera radice del fenomeno del cosiddetto califfato. Finché non si svuoterà da sé. Non prima, però, di avere rivoltato come un calzino l’intera regione.

Claudio Vercelli, storico
Pagine Ebraiche, febbraio 2016

(4 febbraio 2016)