Roma – L’arte al servizio della Memoria

fischerLe opere di Eva Fischer e Georges de Canino in dialogo, per un impegno di Memoria viva che passa anche dall’arte.
I due pittori sono infatti protagonisti della mostra “Dopo la Shoah”, inaugurata nelle scorse ore a Roma presso l’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia dell’Internamento dalla Guerra di Liberazione e loro familiari.
Della grande artista da poco scomparsa vengono esposte sei opere facenti parte del suo Diario segreto, “scoperto” verso la fine degli anni ’80 dal marito Alberto Baumann e dal figlio Alan David ed esposto in anteprima a Roma, successivamente allo Yad Vashem di Gerusalemme e in altri rinomate sedi nel mondo. Nel “Taled di mio padre” del 1947, si rivive il dramma appena successo della deportazione del padre Leopold, rabbino capo, deportato assieme ad oltre 30 altri familiari diretti. Nelle altre cinque opere raffiguranti ognuna delle scarpe, vengono rappresentati gli oltre sei milioni di ebrei vittime della furia nazista.
Di de Canino appaiono invece due opere di grandi dimensioni in acrilico e inchiostro su tela, raffiguranti il primo un Prigioniero morente in via Tasso e un Prigioniero la seconda. “Questo è il tempo dell’ascolto – ha spiegato de Canino – questo è il tempo per non dimenticare”.
Dopo la Shoah è un’idea della critica dell’arte Francesca Pietracci e rimarrà aperta per tutto il mese di febbraio. All’inaugurazione, oltre a Baumann e de Canino, sono intervenuti anche Lauro Rossi, Vicepresidente ANRP; l’ex presidente del Museo della Shoah Leone Paserman; Giorgia Calò, assessore alla Cultura della Comunità ebraica romana; Enzo Orlanducci, Presidente ANRP, Francesca Pietracci, storica dell’arte.
La mostra è un tributo a “Vite di Internati Militari Italiani”, esposta permanentemente nelle sale del museo di via Rabicana.

Dopo la Shoah
Eva Fischer – Georges de Canino
Durata: per tutto il mese di febbraio
Oorario: dal lunedì al venerdì 10.00 – 18.00
il sabato solo su prenotazione
Via Labicana 15 – Roma
Contatti per prenotazione: te. 067004253
anrpita@tin.it – www.anrp.it

I sei milioni di racconti della Shoah possono narrare di poche ore di vita, oppure raccontare una lunga esistenza, ma tutte portano allo stesso tragico epilogo, persino per coloro che fisicamente sono usciti da luoghi spettrali come Aushwitz-Birkenau, Dachau, Bergen Belsen.
Quando verso la fine degli anni 80 mio padre ed io scoprimmo quel diario segreto di Eva, mai avremmo creduto che una persona che tanto amava parlare e circondarsi di colori, tenesse celati tutti i risvolti di quel bieco periodo. Aveva sempre parlato della deportazione del padre e di altri 33 parenti diretti e ci aveva raccontato le peripezie per fuggire – assieme alla madre malata ed al fratellino Roberto di dieci anni più piccolo – da una Belgrado martoriata, per consegnarsi agli italiani sulla costa adriatica, perché “italiani brava gente”. Mai avremmo supposto, che nonostante la forza che trasmetteva in tutti coloro che frequentava, la vitale Eva necessitasse di rigettare la cupezza che invece continuava a tartassarla quasi fino al punto di insistere nel volerle togliere l’umanità e l’amore per la vita stessa. Come nei racconti che narrano della presenza in ognuno di un lato positivo e di uno nefasto.
Le ombre raccontate innanzitutto a se stessa lungo tutta la vita, e la convinzione di dover mostrarle specialmente a chi non aveva vissuto quei momenti, hanno creato un particolare momento pittorico, parallelo a quelli, come le storie di biciclette o le architetture mediterranee, che avevano portato Eva Fischer ad una certa notorietà.
Fra le emozioni più forti, la curatrice Francesca Pietracci ha scelto di mostrarne due in occasione del Giorno della Memoria 2016. Il “Talled di mio padre” rappresenta una di quelle immagini che si tatuano sul cuore di un bambino. Il Talled è una sorta di scialle da preghiera, per i rituali religiosi ebraici. L’opera esposta è del 1947 e da poco l’uccisione del rabbino-capo Leopold Fischer – padre di Eva – era stata data per certa.
“Chi salva una vita, salva il mondo intero” è scritto nel Talmud, ma nelle altre cinque opere esposte, sono raffigurati quei sei milioni di esseri cui non riuscendo a togliere la loro umanità, il nazismo ha bruciato le identità, una ad una, lasciando solo pile di scarpe ed altrove montagne di denti in oro, valigie, pettini accatastati oppure occhiali.
Le scarpe sono appese ad un chiodo come gli impiccati ai lampioni di Belgrado, oppure sono vecchie, ma vorrebbero ancora calpestare il suolo mentre Eva le immagina nel cielo. La corsa dei bambini viene interrotta perché troppo naturale, la vita passata senza un padrone è lontana da una tirannia idolatrata da un intero popolo.
Queste scarpe si ritrovano assieme in questa mostra per dare assieme forza alle loro punte e calciare ancora oggi coloro che negano la storia, coloro che cercano dei motivi, coloro che chiamano follia un desiderio sanguinario, mentre tutto sembrava normale, dovuto, oppure celato dietro ai “non sapevo”.

Alan David Baumann

(3 febbraio 2016)