torture…
Jean Améry ci mise venti anni a descrivere una parte delle sue sensazioni ricordando la tortura subita (si trovano nel suo Intellettuale ad Auschwitz, Bollati Boringhieri). Noi sappiamo che a Giulio Regeni è andata molto peggio (lo stesso a Ilan Halimi). Non sappiamo se e come ne avrebbe parlato. Sappiamo, invece, cosa resta a noi: il torturato ha sperimentato che in questo mondo l’altro può esistere in quanto sovrano assoluto, capace di infliggere dolore e di annientare. Non vale solo pensando al Cairo. Vale, per esempio, il prossimo 24 marzo, quando cadranno i quaranta anni dal colpo di Stato in Argentina che porta Jorge Rafael Videla al potere. Tanto per mettere un post-it su un anniversario che parla anche del nostro presente. Perché la tortura non è un fatto di cronaca, è un atto che segna irreversibilmente un prima e un dopo. E la qualità del dopo è fatta anche della capacità e della volontà di non dimenticare il prima.
David Bidussa, storico sociale delle idee
(7 febbraio 2016)