Qui Ferrara – Non vi fu una sola Resistenza

IMG-20160215-WA0005Nell’immaginario collettivo gli uomini della Resistenza sono gli eroi che imbracciarono le armi per combattere gli oppressori nazifascisti. Ma in Italia come in Europa non vi fu un solo tipo di Resistenza e gli ebrei ne sono la dimostrazione. In Francia, Germania, Polonia, vi fu chi scelse la lotta attiva, chi la fuga, la clandestinità, fino alla chi decise di togliersi la vita pur di non cadere nelle mani dei propri aguzzini. A raccontare e analizzare queste diverse risposte alla barbarie, il convegno internazionale La Resistenza ebraica in Europa in corso al Ridotto del Teatro Comunale di Ferrara e promosso dal Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS) assieme all’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara e al Memorial de la Shoah di Parigi. Un’iniziativa che, spiegano i membri del comitato scientifico Anna Quarzi, Laura Fontana e Alberto Cavaglion, “ha inteso porre in evidenza le molte fisionomie che la reazione degli ebrei ha assunto durante i regimi nazista e fascista”. Ad aprire i lavori, i saluti del rabbino capo di Ferrara Luciano Caro, del presidente della Comunità ebraica della città Andrea Pesaro e dell’assessore alla Cultura di Ferrara e consigliere del Meis Massimo Maisto. La Resistenza in Francia, Germania e Polonia sono stati i temi trattati nella prima parte del convegno che proseguirà nel pomeriggio con il panel incentrato sull’Italia e su Ferrara coordinato dal Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Liliana Picciotto, responsabile della ricerca scientifica del CDEC Milano, e che vedrà lo storico Alberto Cavaglion tra i protagonisti.
Come mai la Resistenza francese non si pose come obiettivo il salvataggio degli ebrei? La domanda da cui ha preso avvio la riflessione di Renée Poznanski dell’università Ben Gurion del Negev. Due sono le ragioni, ha spiegato Poznanski: la prima, riconducibile alle origini dell’immaginario sociale, è collegata alla paura di riattivare il vecchio demone rappresentato dal “problema ebraico”, sedimentato nell’immaginario collettivo, e in particolare al destino ineluttabile che attendeva gli ebrei deportati. La seconda ragione è strettamente legata alla valenza che la Resistenza francese aveva assunto sin dai suoi inizi e alle priorità che si era data, vale a dire l’opposizione politica al regime di Vichy e la liberazione della Francia. Salvare le vite di coloro che erano in pericolo non rientrava tra queste priorità.
Da un altro interrogativo ha preso le mosse l’analisi di Beate Kosmala del Memoriale della Resistenza Tedesca contro il nazismo di Berlino: “Ci si chiede se fosse possibile per gli ebrei attuare una qualunque forma di resistenza dopo il 1933, tenuto conto del clima di violenza messo in atto dal regime nazista. In questo contesto, allora, quale significato possiamo attribuire alla parola resistenza?”. La domanda di Kosmala che ha sottolineato come oggi si possa affermare con certezza che nella Germania nazista la maggiore manifestazione di resistenza ebraica collettiva alla deportazione fu il fatto che migliaia di ebrei decisero di contrastare i piani di deportazione messi in atto dal regime. Cercarono rifugio in clandestinità, nascondendosi in massa o togliendosi la vita e si rimette così in discussione il concetto di presunta passività degli ebrei tedeschi.
“In Polonia, tutte le forme di Resistenza furono importanti, tuttavia l’organizzazione di gruppi armati sembrò, almeno in alcuni casi, avere la priorità. – ha spiegato Edyta Gawron – Gli ebrei costituirono unità militari in decine di ghetti della Polonia occupata, tra cui l’Organizzazione ebraica combattente (Żydowska Organizacja Bojowa, ŻOB). Queste unità mettevano in atto regolari attività di resistenza e organizzarono anche straordinarie rivolte come quella del ghetto di Varsavia (1943). Nello stesso anno si ribellarono ai nazisti gli ebrei dei ghetti di Vilna, Bialystok, Czestochowa ed altre località. A Cracovia i combattenti ebrei si concentrarono su azioni condotte al di fuori del ghetto. Inoltre, migliaia di giovani ebrei polacchi fuggirono dai ghetti rifugiandosi nei boschi unendosi poi a gruppi partigiani o formando unità militari separate”.

d.r.

(15 febbraio 2016)