Melamed – I lavori dell’IHRA a Lucerna
Shoah e scuola, oltre la storia
È nella grande e luminosa caffetteria della Pedagogische Hochschule che gli studiosi e i ricercatori convenuti da tutto il mondo a Lucerna per la “International Research Conference on Education about the Holocaust” si ritrovano per discutere di quanto fatto, per confrontare ricerche e pareri sulle molte sessioni che si svolgono in parallelo. Per due giorni e mezzo, nel grande palazzo che ospita la più importante istituzione universitaria dedicata alla formazione degli insegnanti della Confederazione Svizzera, le sessioni plenarie si alternano a ritmo serrato ai panel tematici che presentano singoli studi o progetti di ricerca internazionali, tutti di enorme valore. Sfide e obiettivi, tendenze nazionali e trend tematici, didattica, studi comparativi e tavole rotonde portano le decine di studiosi a impegnarsi su più fronti, con le sessioni che, svolgendosi contemporaneamente, obbligando più d’uno a dover scegliere fra gruppi di lavoro parimenti interessanti.
Alla fine della prima giornata dei lavori a riunire tutti per una sessione plenaria è stato il keynote dell’americana Simone Schweber, Goodman Professor of Education and Jewish Studies alla Wisconsin University. Un’ora intensa dedicata ai risultati di una ricerca qualitativa volta ad analizzare le modalità di studio e approfondimento dei temi connessi con la Shoah nelle classi, che ha portato a sintetizzare tre proposizioni fondamentali, a partire dalla necessità di discutere come la definizione curricolare dell’argomento, a livello nazionale, influenzi in maniera notevole le modalità narrative dell’insegnamento. È fondamentale, evidenzia Schweber, che siano portati a galla i set di valori che i singoli studenti rapportano allo studio della Shoah, sia per permettere la discussione in classe che per poter affrontare eventuali difficoltà, più frequenti in contesti in cui all’argomento potrebbero essere attribuiti significati del tutto scollegati dall’insegnamento e dagli approfondimenti proposti in ambito scolastico. E non va mai dimenticato che il lavoro intellettuale – come anche quello emotivo e valoriale – deve essere portato avanti principalmente dagli studenti, con i docenti che hanno il compito di strutturare i percorsi, accompagnarli e guidarli, ma non di sostituirsi ai propri allievi. Altro dato rilevante evidenziato dalla ricerca empirica, oltre al rischio di fraintendimenti anche grandi sul senso e sul significato dell’insegnamento di argomenti tanto complessi, è la strumentalizzazione politica, molto frequente negli Stati Uniti, ma da cui anche l’Europa non è certo esente. La strumentalizzazione, più o meno volontaria e consapevole, avviene anche in contesti in cui la narrativa dominante porta a una interpretazione fuorviante, pur se non direttamente condizionata dagli strumenti usati in classe né dalle convinzioni dell’insegnante. Il rischio, poi, che la Shoah diventi un argomento totalmente escluso nei contesti svantaggiati in cui i docenti portano avanti solo le materie fondamentali rende gli Holocaust Studies una sorta di cartina di tornasole dello stato dell’insegnamento tout court. E le scuole dovrebbero essere il luogo in cui si può discutere di valori e significati, e in cui gli studenti imparano anche ad affrontare discussioni su argomenti difficili che hanno un impatto emotivo forte senza che questo debba necessariamente essere motivo di conflitto. Soprattutto su argomenti come la Shoah, il cui senso va molto oltre alla lezione di storia. Sempre che i docenti oltre a essere preparati e sensibili siano messi in condizione di lavorare serenamente, cosa che pare sempre più difficile.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(16 febbraio 2016)