Eugenio Carmi (1920-2016)
Una persona indimenticabile, sia a livello artistico che a livello personale. Così Nicoletta Pallini, curatrice di una mostra interamente dedicata l’anno scorso a Eugenio Carmi al Palazzo Ducale di Genova, ricorda a Pagine Ebraiche il grande pittore scomparso ieri a Lugano all’età di 96 anni. Ebreo genovese, Carmi è stato uno dei maggiori esponenti dell’astrattismo italiano, che seppe usare accanto alla tela e ai materiali più classici, anche materiali della quotidianità e addirittura di scarto, come quelli delle fabbriche, mischiandoli per ricreare nuove e inaspettate forme d’arte. Questo spirito innovatore si ritrova anche nella channukkiah da lui disegnata per il Museo della Luci di Casale Monferrato, che raccoglie una collezione di candelabri di arte contemporanea. Quella di Carmi, realizzata nel 2000, è disegnata con una tecnica mista su legno e tessuto, riprendendo le forme geometriche e le tinte brillanti che caratterizzano l’opera del pittore.
Eugenio Carmi, afferma Pallini, “fu uno degli ultimi rappresentanti dell’astrattismo, e uno dei più importanti”. La curatrice ha raccontato a Pagine Ebraiche di aver conosciuto l’artista a Budapest, in occasione di una grande mostra curata da Luciano Caramel. Era il 1995, e Pallini curava la pagina d’arte di Gioia. “Ricordammo entrambi quell’incontro con grande affetto – le sue parole – e così due anni fa, quando ci rivedemmo, decise di affidare a me la retrospettiva che Palazzo Ducale aveva deciso di dedicargli. Ci si vedeva tutti i giorni, e si instaurò un affettuoso rapporto di amicizia”. Circa un anno dopo è ora il Museo del Novecento di Milano a dedicare una mostra all’opera di Carmi, intitolata “Eugenio Carmi. Appunti sul nostro tempo. Opere storiche 1957-1963” prorogata, visto il successo, dal 28 febbraio al 13 marzo. Eugenio Carmi nacque a Genova proprio il 17 febbraio del 1920. Già a quindici anni dipingeva, prendendo le prime lezioni, ma la sua promettente carriera artistica fu stroncata dalle leggi razziste, che lo costrinsero a scappare e rifugiarsi in Svizzera.
Lì portò a compimento gli studi classici in un collegio italiano e poi si spostò a Zurigo, dove rimase fino alla fine del conflitto mondiale e si laureò in chimica al Politecnico Federale. Fu proprio a Zurigo che si avvicinò per la prima volta all’astrattismo, e tornato in Italia, muovendosi tra Genova e Torino, dopo la fine della Seconda guerra mondiale ebbe modo di proseguire nei suoi studi artistici sotto la guida di maestri come lo scultore Guido Galletti e Felice Casorati, di cui fu allievo. Seguì le sue tracce fino agli anni Cinquanta, quando la sua pittura passò dal figurativo all’informale, affiancando alle tele i collages e le carte. Nel 1945 conobbe la giovane artista Kiky Vices Vinci, nata a Napoli e cresciuta a Genova, che poi sposò. Con lei condivise fin da subito la passione per la letteratura, il cinema ma soprattutto per l’arte e la pittura. In giro per Genova disegnarono e dipinsero la loro città che portava ancora i segni delle ferite della guerra, con forme che già preannunciavano una futura astrazione. A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta Carmi fu responsabile dell’immagine per l’industria siderurgica Cornigliano-Italsider, e fu in quel periodo che il ferro e l’acciaio cominciarono a entrare nelle sue opere, che portarono in fabbrica l’arte contemporanea, con i cartelli antifortunistici e i suoi “segnali immaginari elettrici”.
L’evoluzione della sua arte non si fermò mai, e dagli anni Settanta fu connessa a una visione del proprio tempo fortemente influenzata dal mondo industriale, cominciando ad arricchirsi del linguaggio geometrico, di nuovi materiali, e di rapporti sempre più stretti con le leggi matematiche e intrecci con la tecnologia. Per questo motivo Umberto Eco, che fu suo grande amico e con cui pubblicò alcuni testi per bambini, lo definì “animale eminentemente urbano. Oltre che con lui, negli anni Sessanta strinse amicizie e collaborazioni con moltissimi personaggi della scena artistica e intellettuale italiana e internazionale, tra cui Emanuele Luzzatti, Victor Vasarely, Max Bill, Konrad Wachsmann, Furio Colombo e Kurt Blum. Carmi li coinvolse non soltanto all’interno della politica culturale dell’Italsider, ma anche nell’attività della Galleria del Deposito, che Carmi fondò a Boccadasse, dove si era stabilito. Alla Galleria – creata affermando che “dobbiamo fare qualcosa di nuovo” – l’artista espose i suoi multipli, piccole sculture in dimensione ridotta che rappresentavano l’idea di proporre un’arte seriale accessibile a un pubblico più vasto, ponendosi all’interno delle discussioni internazionali sull’Arte Moltiplicata, rappresentandone uno degli esempi più importanti.
“Carmi era vivace, ironico, e attento alla realtà quotidiana e ai giovani, con i quali amava il dialogo”, ha sintetizzato Pallini. “Fino all’ultimo – ha concluso – è stato molto attento alla società, alla politica e alla natura, e tutto questo si ritrova nelle sue opere”.
Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked
(17 febbraio 2016)