Si apre l’armadio della vergogna
“Passo avanti significativo”
La divulgazione degli atti del cosiddetto “armadio della vergogna” continua a tenere banco tra gli storici contemporanei.
Prolifico autore di saggi sul periodo nazifascista, Claudio Vercelli guarda con interesse alle nuove carte: “È ancora presto per dire se tutto il materiale sarà effettivamente fruibile dalla collettività, ma si tratta comunque di un fatto importante. Tre in particolare – afferma – sono gli aspetti su cui vale la pena riflettere”. Il primo, la conferma di una evoluzione culturale della società italiana che permette oggi di far luce su episodi ritenuti per molti anni inaccettabili e inconoscibili. “Viene marcata una distanza con quei tempi, insieme a una maggiore disponibilità a coglierne il senso” osserva Vercelli. Il secondo, lo stimolo a trattare i documenti come un punto di partenza e non necessariamente come una meta. “La ricerca storica è un’operazione complessa, che non può basarsi soltanto su quello che troviamo scritto nei documenti. Bisogna mantenere una prospettiva larga – dice Vercelli – cogliendo ad esempio le relazioni e i nessi impliciti”. Il terzo, la possibilità di esplorare le responsabilità dei soggetti che furono compartecipi nei crimini del fascismo e del nazismo. Magari meno esposti, ma comunque coinvolti. Su tutti le pubbliche amministrazioni. “Se i documenti saranno letti e approfonditi adeguatamente – conclude – ho la sensazione che potranno emergere molti elementi rilevanti, sia sui segnali di continuità che su eventuali fratture maturate nel dopoguerra”.
Concorda Lutz Klinkhammer, direttore di storia contemporanea all’Istituto Germanico di Roma. “Il mio invito è quello di essere pazienti, perché il materiale è talmente tanto da necessitare un po’ di tempo per una sua valutazione esaustiva. Comunque – spiega – l’impressione è che ci siano delle novità non di poco conto rispetto al carteggio e agli atti conservati in archivi pubblici già liberamente consultabili”. La pubblicazione degli elenchi, prosegue Klinkhammer, costituisce di per sé “una grossa facilitazione” ma non può sostituirsi ad elementi imprescindibili dell’identità di uno storico chiamato a svolgere con professionalità il proprio mestiere. E cioè, elenca il nostro interlocutore, “fiuto, bravura individuale, lavoro a tappeto negli archivi”.
Decisamente ottimista la studiosa Elisabetta Insolvibile, il cui nonno scampò all’eccidio di Cefalonia: “Devo ancora studiare le carte, ma dai titoli e da quel poco che ho visto mi pare che non manchino gli spunti e le sollecitazioni”. Ad incuriosirla la possibilità di approfondire ulteriormente le responsabilità italiane in quegli anni bui, sia nell’arco temporale 1940-43 che nei mesi della Repubblica Sociale. E ancora, la sua speranza è che possano emergere nuovi elementi su chi organizzò e rese possibile la fuga di Kappler da Roma.
Anche Tullia Catalan (Trieste) si augura che i conti col passato vengano fatti fino in fondo. Con particolare riferimento ai crimini compiuti all’interno della Risiera di San Sabba, l’unico campo di sterminio attivo in Italia. “Mi riservo di leggere con calma le carte, ma auspico fortemente che si possa fare un passo in avanti. Ci sono alcune verità, molto dolorose, su cui troppo spesso abbiamo avuto le mani legate. Penso ad esempio al collaborazionismo locale, tra i più significativi”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(17 febbraio 2016)