Spotlight – Berlinale
Cafè Nagler, alla ricerca
dell’antico fasto perduto

592495449 “Tutta la mia vita ho sentito parlare del leggendario Cafè Nagler, posseduto dalla mia famiglia. Era il posto più in voga di tutta la Belino dei ruggenti anni Venti, da Einstein a Kafka a Brecht, c’erano tutti. E quindi sono venuta a Berlino alla ricerca del Cafè Nagler – e qui le cose hanno cominciato a complicarsi”. Lo racconta, in ebraico, la voce della regista israeliana Mor Kaplansky, mentre dietro scorrono immagini in bianco e nero di grandi stanze con eleganti lampadari e danze allegre, quelle del documentario da lei curato – intitolato appunto Cafè Nagler – che presenta oggi al Berlinale, il Festival Internazionale del Cinema di Berlino.
Molte le sorprese di questa edizione. L’hanno aperta giovedì i fratelli Coen con il loro nuovo film Ave, Cesare!, che ha portato nella capitale tedesca una parata di grandi star hollywoodiane. E nelle scorse ore è arrivata anche l’attrice britannica Emma Thompson, protagonista di Alone in Berlin, che racconta la storia di Anna e Otto Quangel, due coniugi che, dopo avere appreso della morte del figlio in guerra, decidono di opporre resistenza a Hitler scrivendo cartoline a tutti i tedeschi, una storia tratta dal romanzo dello scrittore tedesco Hans Fallada. Nei giorni scorsi è stata inoltre proiettata la prima trasposizione cinematografica del Diario di Anna Frank realizzata in Germania. Il film, diretto da Hans Steinbrichler, ha come protagonista Lea van Acken, già apparsa in un episodio di Homeland, la popolare serie tv americana basata su Hatufim dell’israeliano Gideon Raff. Accanto a van Acken, Martina Gedeck che vanta nel suo curriculum il film premio Oscar Le vite degli altri oltre a un ruolo nell’italiano Anni felici di Daniele Luchetti, e Ulrich Noethen che nel film Hannah Arendt di Margarethe von Trotta interpretava il filosofo Hans Jonas.
Cafè Nagler viene invece presentato nella sezione del festival dedicata ai film a tema culinario, anche se in realtà vi si vede più danzare che mangiare. Perché mentre si segue Mor nel suo viaggio sulle tracce dei racconti di sua nonna Naomi, si incontrano gli incredibili personaggi della ‘Berlino del 2016 che si crede nel 1920′, protagonisti di una vera e propria tendenza che ha dato vita a un grande fenomeno revival fatto di musica, moda e cultura, e imperversa contando sempre più appassionati. La regista arriva a loro attraverso un percorso in cui sembrava essersi quasi perduta. Quando racconta che le cose hanno cominciato a complicarsi proprio nella città dove sorse il famoso caffè, Kaplansky fa infatti riferimento al fatto che nessuno sembra ricordarne l’esistenza tranne la sua famiglia, che conserva ancora immagini del suo fasto e addirittura piatti di ceramica con tanto di logo.
Tutto ebbe inizio, secondo i racconti di Naomi Kaplansky – in Israele nota pioniera della televisione –, quando i suoi nonni Klara Rosa and Ignatz Nadler aprirono il locale a Moritzplatz nel 1920. Furono anni di gloria e atmosfera bohemien, con scrittori, poeti e artisti che gravitavano intorno ai tavolini gustandone il cibo e le melodie del tempo, finché Klara e Ignatz non decisero di emigrare nell’allora Palestina mandataria nel 1925, chiudendo il Cafè Nagler. Il quale rimase però un’istituzione, il protagonista di tutte le cene di famiglia e dei racconti di Naomi – ma non dei berlinesi. Lo ha scoperto, per l’appunto, Mor, studentessa di cinema arrivata a Berlino per raccontare al mondo quelle storie. Per tutta la prima parte del film, la ragazza realizza una lunga serie di interviste trovando solo nuove delusioni, e alla fine viene fuori che forse esisteva un Cafè Nagler, ma era un piccolo seppur grazioso bar di quartiere.
Il problema maggiore a quel punto, spiega sempre la voce di Mor, era di non dare una delusione a sua nonna. Ed è per questo che nonostante l’evidenza non si è arresa, ma ha optato per un cambio radicale di strategia. Sono stati proprio quei nuovi moderni ballerini di charleston a darle l’idea: se Berlino non riesce a tornare agli anni Venti, si possono far tornare gli anni Venti a Berlino. “Certo vivono in un mondo un po’ immaginario, in cui si vestono come in quel periodo, inscenano spettacoli di burlesque e adottano persino nomi tipici, ma mi sono avvicinata molto a loro”, ha raccontato la regista ad Haaretz. “Sentivo che eravamo simili – le sue parole – poiché anch’io ho un’idea nostalgica della nostra storia di famiglia negli anni Venti e come loro stavo cercando questo periodo, desideravo ritrovare quel magnifico passato”. Il documentario ha così assunto la forma ironica del mockumentary, in cui il confine tra storia e leggenda, tra ricordo e creatività, tra realtà e finzione, è diventato talmente confuso da perdersi. Kaplansky ha infatti chiesto ai suoi nuovi amici di raccontare le storie delle loro famiglie davanti alla telecamera – includendovi però, in qualunque modo, il caffè perduto. E così quei ruggenti anni Venti hanno ripreso vita, e con loro il Cafè Nagler.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(Nell’immagine il Cafè Nagler come presentato nel film)

(18 febbraio 2016)