L’importanza delle parole

bassano“Dunque facciamo l’articolo. Da molto tempo sto zitto: è tempo di risbucare. Lapis rosso: 1, 2, 3, 4, 5…; le cartelle sono numerate e pronte. Accendiamo la sigaretta. Inchiniamoci sul tavolino per venerare il pensiero che gorgoglia, commisto all’inchiostro, giù dalla penna. Lo sviluppo d’un anima a Trieste. Comincio a scrivere; lacero; di nuovo, e altro strappo. Sigarette. La stanza s’empie di fumo, e i pensieri si serrano come corolle al vespro. Inutile illudersi: non ho da dire niente. Sono vuoto come una canna.”
Già, manca ancora più di un mese a Purim, e con questo testo in qualche modo autoreferenziale estrapolato da “Il mio Carso” del triestino Scipio Slataper (1888-1915) lo sto forse un po’ anticipando. In realtà, ci sarebbero argomenti da affrontare: il cosiddetto “armadio della vergogna” sulle stragi nazi-fasciste adesso online, il carnevale quotidiano che ci regala la politica del nostro paese degno di un quadro di Bosch o di Ensor, la guerra che come scriveva Franco Fortini Lattes avviene “lontano, lontano” e il solo parlarne in confronto diventa ironico, il terrorismo che continua a commettere indisturbato stragi e vittime, o quell’altro tipo di terrorismo digitale altrettanto diffuso, a cui si riferisce il direttore Guido Vitale. Di fronte a queste negre vicende preferisco adottare il silenzio, una tra le cose più importanti che la tradizione ebraica ritrovata mi ha trasmesso, è l’enorme importanza attribuita alle parole.

Francesco Moises Bassano

(19 febbraio 2016)