La bustina di Minerva
Sacrilegio! Si lavora nel weekend
L’altro giorno, al mare per il week end, mi sono accorto che non stavo facendo niente. Avevo letto alcune pagine di un libro, avevo fatto una nuotata, e mi trovavo sdraiato sul letto senza neppur la voglia di accendere il televisore. Ho avuto un sussulto, da etica protestante e spirito del capitalismo, e mi sono sentito colpevole. Poi mi sono detto che avevo avuto una settimana snervante, e forse mi faceva bene poltrire, ma mi sono subito detto che “poltrire” è una brutta parola, e cercavo disperatamente una giustificazione morale. Mi ero semplicemente dimenticato (da quanti anni?) che il riposo domenicale non è un diritto, bensì un dovere.
Talora ci pare insopportabile il Sabato degli ebrei ortodossi, che debbono accendere il televisore la sera prima e, come accade a Gerusalemme, salgono in quel giorno su ascensori “accelerati”, che si fermano automaticamente a ogni piano, in modo che non si debba neppure schiacciare il bottone. Eppure tutte le prescrizioni rituali nascono da una saggezza arcaica, e solo la rigidezza del comando garantisce l’osservanza del precetto. È come nelle diete: riescono se osservi in modo dogmatico le prescrizioni del medico, non più di ottanta grammi di carne, non più di mezzo bicchiere a pasto. Non è che novanta grammi o tre quarti di bicchiere ci facciano ingrassare in modo sensibile, ma se passi da ottanta a novanta grammi sei finito, niente ti impedirà il giorno dopo di salire di dieci grammi, e via mangiare.
Qual è la saggezza del Sabato ebraico? Che se devi riposarti dopo una settimana di lavoro il riposo deve essere assoluto, devi dimenticare tutto, abbandonare ogni pensiero, non devi più affannarti sui pensieri della settimana appena trascorsa. E se solo ti coglie il pensiero che potresti finire quella lettera, o dare una lavata a quella camicia, non ti fermi più, saranno venti lettere e il bucato della settimana.
Nell’universo cattolico il riposo domenicale non è mai stato sentito in modo rigoroso e rigoristico. Eppure ricordo che una volta, all’età di dodici anni, in campagna, quando insieme a un mio amico, di famiglia molto osservante, abbiamo visto un contadino lavorare in un campo, l’amico ha detto che quella era gente da mettere al muro. L’affermazione peccava di un certo fanatismo, ma certamente l’aveva sentita ripetere in casa, e questo significa che – almeno rispetto al lavoro dei campi – esisteva un tabù, e pazienza se il tabù valeva solo per i poveri e non per i ricchi, che alla domenica potevano trattar affari.
Tuttavia la Chiesa è sempre stata molto indulgente col terzo comandamento: si sapeva che c’erano le eccezioni per i servizi sociali essenziali, i pompieri, i poliziotti e poi i tranvieri, e poi i giornalai, e così via. Per cui accade che nella nostra civiltà nessuno ha mai sentito come drammatico il precetto domenicale, e quando la civiltà dei consumi e dei divertimenti ha reso la domenica un giorno frenetico, gli addetti ai servizi sociali si sono moltiplicati, albergatori, bagnini, benzinai, venditori di magliette, ambulanti, guardiani di caselli autostradali…
Ma non è che questa vasta percentuale di addetti ai servizi lavori per consentire agli altri il riposo: perché anche chi riposa lavora moltissimo, certamente più che durante il resto della settimana. L’intenso armeggio che precedeva la partenza della famiglia de’ Tappetti per la vacanza, oggi si ripete ogni venerdì sera o sabato mattina: accaldato nella sua canottiera madida, l’aspirante al riposo carica la macchina e dà di frizione in code estenuanti sull’autostrada, se è ricco lavora di sartìe e colpi di timone sulla barca, fa il punto, scruta il faro nella notte, si affanna alla radio di bordo per captare il messaggio della capitaneria di porto.
E tutti, in mare come in terra, lavorano di posteggio di coda, di manutenzione, cercano disperatamente un meccanico per sostituire le candele, danno di crick per cambiare le gomme, mugolano sulle bronzine fuse, si ustionano le palme dando strappi di corda per far partire il fuoribordo. Al club Mediterranée vengono arruolati d’imperio in debilitanti giochi senza frontiere, e passano la domenica sera a scatramarsi il corpo ormai calefatato, o dosandosi pastiglie contro la diarrea da colibacteri. E d’altra parte anche chi rifiuta il rito della vacanza e decide di passare la domenica tra quattro mura, dà di pialla per costruirsi la libreria, monta da sé il computer comperato a pezzi sfusi, digita su Videotel come un impiegato aeroportuale.
E poi ci lamentiamo se durante la settimana l’impiegato è neghittoso, l’idraulico latitante, il funzionario fuori stanza. Dimentichiamo il terzo comandamento: avremo ben diritto al nostro riposo.
Umberto Eco
da l’Espresso, 28 luglio 1991
(21 febbraio 2015)