Generi letterari
In genere, i romanzi di genere piacciono poco ai critici. Molto è cambiato dai tempi in cui il Giallo o la Fantascienza erano considerate letteratura minore, o nemmeno letteratura, ma certi pregiudizi sono duri a morire, Pavlov ci ha insegnato qualcosa. La stessa parola ‘critico’ è ormai usata con approssimazione – come molte, troppe altre, anche più importanti e decisive parole – , e talvolta rovesciandone persino il significato. Ora, però, che la letteratura sembra solo tutta di genere, e non c’è quasi libro di successo che non sia giallo, thriller, sci-fi, fantasy, eccetera, beh: è forse venuto il momento per riconsiderare il tutto. Poiché qui voi vi aspettate suggerimenti di lettura o di non lettura, proverò a sostenere il mio punto in merito con due esempi, cioè due libri. Resistere non serve a niente di Walter Siti (Rizzoli 2014, premio strega ) e Il mio nome è Frank De Jung di Frank Gonella (Wingsbert, 2015).
Il primo è un grande libro di letteratura, che usa elementi di genere.
Il secondo è un libro di genere, che si fa letteratura.
Sia il noto e apprezzato Walter Siti (ex professore universitario di alto livello, autore di romanzi e saggi importanti, pubblicati dalle majors dell’editoria italiana, tradotto in Francia, Germania, America…), presente – quando vuole lui – nel dibattito culturale; sia lo sconosciuto Frank Gonella (autore minore, che probabilmente si guadagna da vivere con altro, pubblicato da Case Editrici poco note e mal distribuite) hanno scritto libri autentici, a proposito di temi e persone che conoscono bene, per esser pubblicati, e letti dal maggior numero di persone possibile. Ma, se li leggerete, e ve lo consiglio proprio, vedrete che sono distanti fra loro, per intenzioni, lingua e struttura narrativa quanto lo sono fra loro due Stati – diciamo l’Italia e la Finlandia -, ma vicini come due città – Dubai e Città del Lussemburgo -, diciamo…
Il romanzo di Gonella è una storia di spie, banche e sangue. La lingua è quella della hard boiled school, alla Spillane o alla Chandler. Non mancano il sesso, la droga, i delitti.
Quello di Siti è una storia di criminalità organizzata, televisione e corruzione. La lingua è quella della alta letteratura, alla Graham Greene, alla Nabokov, alla Le Carré, alla Busi. Non mancano il sesso, le droghe e i delitti. Il protagonista di Resistere non serve a niente è Tommaso: ex proletario, ex ragazzo obeso, ex matematico mancato diventato giocoliere della finanza, quella sporca. Fra Olgettine e pseudo dive televisive, la scena è tutta italiana, con una Roma tipo quella della Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. La trama è avvincente, le scene vivaci. Le metafore mai scontate; gli sprazzi di intelligenza sottile e di saggistica ben argomentata sono frequenti quanto scintillanti. E lo scoramento, o l’indignazione che può prendere a libro chiuso sono di quelli che restano, perché il libro ha aperto uno squarcio sulla tela della realtà come ce la dipingono quasi tutti i media.
Il mio nome è Frank De Jung è un romanzo internazionale per stile, personaggi e scenari. Dubai, Londra, i Russi, gli Svizzeri, la Finlandia. Barche da sogno, dinastie di banchieri, spie triplogiochiste, donne e uomini da letto, assassini, donne di testa. Il protagonista è Frank de Jung, analista finanziario: squalo cucciolo ma agguerrito in un oceano di squali tigre spietati. La trama incalzante, come in un film d’azione dove i colpi di scena si susseguono. La lingua è spiccia, brusca come sono le voci dei personaggi che popolano un romanzo che prende spunto dall’attualità e la trasforma in racconto.
Ma c’è qualcosa che li unisce di più, ed è quella cosa della quale parlò, in una conferenza edita dopo la sua morte, il grande scrittore americano David Foster Wallace – il solo, a mio parere, ad aver perfettamente mescolato fino alla non distinzione l’Alta Letteratura e il Genere. Quella Cosa che è l’acqua per i pesci, lo scrivere per gli scrittori, l’aria per tutti noi. E che nei romanzi di Gonella e Siti è il Grande Nulla che ci Imprigiona, il Nada che, se vogliamo sfuggire alla sua morsa, dovremmo almeno saper riconoscere.
Perché la realtà non è una sola: i libri buoni ce ne mostrano le sfaccettature, aprendoci una via di fuga non solo estemporanea. I libri cattivi, invece, possono al massimo divertirci, farci evadere: cioè mandarci altrove, in un altro tipo di Nada.
Valerio Fiandra
(25 febbraio 2016)