QUI WASHINGTON Il giudice e l’amicizia impossibile
Antonin Scalia e Ruth Bader Ginsburg erano quelli che nella cultura popolare vengono comunemente definiti frenemies, nemici-amici. Divisi inequivocabilmente sulla lettura della Costituzione americana, i due giudici della Corte suprema trascorrevano insieme le vacanze e condividevano la passione per l’opera.
Il primo, scomparso il 13 febbraio scorso, era un campione delle posizioni conservatrici: cattolico credente, sottolineava che l’aborto non era un diritto contenuto nella Costituzione giustificando la sua posizione attraverso il XIV emendamento, dedicato alla cittadinanza e alla pari protezione dei cittadini. Aveva espresso più volte la sua contrarietà nei confronti del matrimonio omosessuale, specificando – dopo la sentenza dello scorso giugno che ha esteso il riconoscimento del matrimonio omosessuale a tutti gli Stati che non prevedevano nel loro ordinamento giuridico questa possibilità – che “un sistema di governo che rende le persone subordinate a un comitato di 9 giudici non merita di essere chiamata democrazia”. Per quanto riguarda il possesso di armi, polemica che da anni infiamma gli Stati Uniti – Scalia ritornava alle parole della Costituzione, specificando che essa “non permette divieti assoluti nel possesso di pistole a casa e nel loro uso per legittima difesa”.
La sua scomparsa, inoltre, ha riaperto accesi dibattiti all’interno dell’universo ebraico americano tra chi lo ha esaltato con una certa nostalgia e chi ha rilevato diversi nodi da sciogliere. Il giudice – è stato ricordato – aveva più volte presenziato ad eventi ebraici (prima fra tutti l’accensione pubblica della Chanukkiah), oltre a essersi avvicinato allo studio del Talmud ed aver usato per la prima volta all’interno della corte la parola yiddish ‘Chutzpa’. Aveva inoltre chiaramente riconosciuto Gerusalemme come la capitale d’Israele; tentando di porre fine a una querelle che va avanti da decenni. Allo stesso tempo il suo fervore religioso e le sue posizioni conservatrici avevano creato attriti: nel 2009 per esempio discutendo riguardo a una grande croce posizionata in un memoriale di vittime di guerra – come veniva riportato dal Forward – Scalia rimase stupefatto da chi gli faceva notare come quel simbolo religioso non potesse rappresentare tutti e rispose freddamente “La croce è il simbolo più comune per un posto dove riposano i morti”.
D’altro canto, Ruth Bader Ginsburg, 82 anni – storicamente nota come il primo giudice ebreo entrato a far parte della Corte suprema, oltre che la seconda donna – da anni si batte per i diritti delle donne e delle minoranze ed è favorevole alle unioni omosessuali (Il matrimonio, spiegava, è cambiato: non è più quel contratto che subordinava una moglie al marito). Lo scorso giugno il suo voto, assieme a quello dei correligionari Stephen Breyer ed Elena Kagan, è stato determinante per la sentenza sui matrimoni gay. Le sue posizioni non si sono mai allontanate da una lettura puntuale e osservante della Costituzione, tanto che Scalia esaltava il suo approccio “testualista”. Cresciuta con una ferrea educazione ebraica, riflettendo sulla sua identità Ginsburg ha dichiarato: “Sono fortunata di avere questa eredità e di vivere negli Stati Uniti, in un tempo in cui agli ebrei non vengono chiuse le porte in faccia e possono essere se stessi senza vergogna”. Dedita a dare nuova luce a una visione femminista dell’ebraismo, nel suo ufficio ha appeso la citazione del Deuteronomio: “Tzedek, Tzedek, tirdof”/ “Giustizia e giustizia, questo ricercherai”.
Due personaggi agli antipodi, uniti da una insospettabile e curiosa amicizia, ricordata dalla Ginsburg nell’orazione con la quale ha commemorato la recente scomparsa di Scalia.
“Eravamo migliori amici ma le nostre posizioni erano e saranno sempre diverse” ha rievocato il giudice Ginsburg, ricordando come ogni volta che faceva una proposta in ambito giuridico si ritrovava ad aver a che fare con la ferma opposizione di Scalia. “Mi ha rovinato tantissimi weekend – ha aggiunto – ma, alla fine, grazie alle sue notazioni, il mio lavoro ne giovava e risultava di gran lunga migliore alla prima versione”.
Uniti dall’amore per la musica, le loro opinioni hanno ispirato l’opera-parodia di Derrick Wang “Scalia/Ginsburg”, nella quale legge e potere vengono espressi attraverso la voce di un soprano e di un tenore.
E proprio allo spettacolo di Wang si è riferita Ginsburg nella sua commossa elegia per Scalia: “Verso la fine dell’opera Scalia/Ginsburg – ha detto – il tenore Scalia e il soprano Ginsburg cantavano in un duetto: ‘Siamo differenti, siamo uno solo’. Differenti nella nostra interpretazione dei testi scritti, uniti nella reverenza che proviamo per la Costituzione e l’istituzione che siamo chiamati a servire”.
“Come si può non apprezzarla, eccetto ovviamente per la sua lettura della Legge”, era solito ripetere d’altro canto Scalia che con la famiglia di Ginsburg trascorreva tradizionalmente l’ultimo dell’anno. L’amicizia però non scalfiva minimamente i propri ideali.
In vacanza in India Ginsburg era stata immortalata sopra un elefante, seduta dietro a Scalia, ma ha tenuto subito a motivare che non era al posto del conducente solo per bilanciare il peso, fiera nelle sue convinzioni femministe che l’hanno sempre contraddistinta.
Un’amicizia resa possibile da un comune accordo, ricordato dal nipote di Ginsburg, Paul Spera, sul Washington Post: “Quando erano insieme non li ho mai sentiti parlare di politica o di temi ideologici”. “Anche perché – sottolinea – non avrebbe portato da nessuna parte”.
Rachel Silvera