Il settimanAle – La profezia

alessandro-treves“Gli arabi saranno i lavoratori, e gli ebrei gli amministratori, gli ispettori, i funzionari, i poliziotti – soprattutto della polizia segreta. Uno stato che governa su una popolazione ostile di quasi due milioni di stranieri non può che diventare uno stato di polizia, con tutto ciò che questo comporta per il sistema educativo, la libertà d’espressione, la democrazia. La corruzione tipica dei regimi coloniali si impianterebbe anche nello stato d’Israele. Esso sopprimerebbe l’insurrezione araba e troverebbe dei Quisling arabi di cui servirsi. C’è ragione di temere che anche le forze armate, che finora sono state un esercito di popolo, degenererebbero diventando un esercito d’occupazione, ed i comandanti, diventati governatori militari, assomiglierebbero a quelli di tutti gli altri eserciti.” Così Yeshayahu Leibowitz scriveva nel 1968, nel suo saggio “I Territori”, un anno dopo la Guerra del Sei Giorni.
Venerdì scorso al teatro Tzavta di Tel Aviv sono stati assegnati i premi Leibowitz. Sono stati premiati Yaakov Manor, l’”uomo che esce dalle nuvole”, così definito perché visto più volte, nelle sue numerose battaglie contro la distruzione di ulivi e case palestinesi, uscire dalle nuvole di gas lacrimogeno; e Bassem Aramin e Rami Elhanan, del Forum israelo-palestinese delle Famiglie in lutto, di cui sono fra le forze trainanti, dopo aver entrambi perso le figlie uccise giovanissime nel conflitto. In sala trecento persone, età media fra i sessanta e i settanta, qualche ottanta-novantenne. In diversi si sorreggono col bastone. Commozione soprattutto alle parole di Bassem. All’uscita, nella Tel Aviv baciata dal sole che ha appena visto passare la maratona, vedo Uri Avnery, 92, che riesce a fermare un taxi. Poi mi imbatto in un mio cugino, in bicicletta, abbronzato, gli racconto della cerimonia. “Finito, quello è un mondo finito”, fa lui perentorio, “Leibowitz? A nessuno interessa più; e questo posto, questa città, chissà cosa sarà fra pochi anni. Godiamoci Tel Aviv finché esiste ancora”.
Ma tornato a casa mi immergo nel giornale del venerdì, e gli articoli di Amos Harel e di Yossi Verter mi suggeriscono che su qualcosa Leibowitz si sbagliava. Forse si sbaglia anche mio cugino. I comandanti militari, dal capo di stato maggiore Eisenkot al capo dell’intelligence Halevi (che è shomer mitzvot, come il capo dello Shin Beth Yoram Cohen ed in parte il futuro capo del Mossad Yossi Cohen) non sono diventati quelli paventati nella profezia. Nelle loro dichiarazioni sul progetto di porto a Gaza, o sull’intifada dei coltelli, dimostrano buon senso e lungimiranza. Come andrà a finire a Tel Aviv forse non lo sanno neanche loro, ma come vanno le cose a Gaza e in Cisgiordania lo vedono con una lucidità che sarebbe degna di Yeshayahu Leibowitz.

Alessandro Treves, neuroscienziato

(28 febbraio 2016)