Il riconoscimento al Figlio di Saul
La Memoria conquista l’Oscar
“Anche nei momenti più oscuri dell’umanità può esserci una voce tra noi che ci permetta di rimanere umani, e questa è la speranza di questo film”. Lo ha detto Laszlo Nemes del suo Il figlio di Saul, mentre ritirava l’Oscar come miglior film straniero. Nemes si è fatto così strada partendo dall’Ungheria, passando per Cannes, dove ha vinto il Gran Prix speciale della Giuria, e arrivando a Los Angeles, dove aveva già vinto un Golden Globe (che come spesso accade aveva preannunciato la vittoria all’Oscar). Un successo ottenuto anche grazie alla riuscita interpretazione dell’attore protagonista Geza Rohrig, con il quale Nemes ha voluto condividere il premio.
È intorno al volto di Rohrig ripreso da 35 millimetri di distanza che ruota infatti tutto il film, in cui si racconta la storia disperata dell’ebreo ungherese Saul Auslander, che mentre lavora come sonderkommando tenta di dare una sepoltura al corpo del ragazzo che crede suo figlio. Tutta la pellicola, per oltre due ore, è fatta di lunghi piani sequenza che mostrano gli orrori del campo con i suoi occhi. “Stretto in questa claustrofobica angolatura, di grande rigore estetico, Son of Saul è un film a tratti così angosciante da essere insopportabile”, scriveva Daniela Gross su Pagine Ebraiche. “Vedere lo sterminio con gli occhi di Saul non è una scelta intimista – proseguiva – ma la via per cogliere appieno l’immensità della Shoah, che qui finisce per dipanarsi nella nostra testa più che direttamente sullo schermo”.
Rohrig, che come Nemes ha perso parte della famiglia nella Shoah, sottolineava quindi Gross, “per molti versi ha passato la vita a prepararsi per il ruolo di Saul. Quando, trent’anni fa, si reca per la prima volta in visita ad Auschwitz – raccontava – ne è così turbato da trasferirsi per un mese nel vicino paese di Oswiecim. Ogni giorno torna al campo, siede in silenzio, medita. Subito dopo si trasferisce in Israele e si iscrive a una yeshiva (‘volevo sapere cosa significa esere ebreo’). L’intensità di quest’esperienza, che gli ha ispirato otto libri di poesie, si svela in un’interpretazione di rara potenza”.
Quella della Shoah è una cicatrice che per l’Ungheria resta ancora dolente. Lo ha detto presentando il film a varie conferenze stampa lo stesso Nemes sottolineando che, sebbene il film anche in virtù dei premi ricevuti abbia aiutato a sensibilizzare il pubblico di tutto il mondo, “in Europa c’è ancora un diffuso senso di colpa per quanto riguarda la Shoah, poiché non si è ancora riusciti a venire a patti con la distruzione della popolazione e la cultura ebraica europea”. Alla situazione europea, e in particolare ungherese, si lega la preoccupazione del consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Mauro Tabor, che sulla newsletter Pagine Ebraiche 24 aveva espresso il timore che l’Oscar a Il figlio di Saul “premiando l’Ungheria, possa servire da grimaldello per forzare, sdoganare e allontanare qualsiasi ombra nera legata a movimenti xenofobi, razzisti, ipernazionalisti ed antisemiti di una parte dei componenti di quel governo”.
A Nemes è invece arrivato il plauso di Claude Lanzmann, regista di Shoah, il documentario di nove ore che racconta la tragedia attraverso la voce dei Testimoni alla cui produzione tra l’altro Adam Benzine ha dedicato un film che ha ricevuto una candidatura all’Oscar come miglior corto documentario. “Il figlio di Saul – ha dichiarato Lanzmann – è l’anti Schindler’s List. Non mostra la morte, ma la vita di quanti sono stati obbligati a condurre i loro cari alla morte”.
E tra le molte critiche entusiaste al film, si possono anche riportare le parole di Andrea Fiano, figlio del Testimone della Shoah Nedo Fiano. “Il figlio di Saul – ha scritto sulle pagine de La Stampa – ha riportato alla mente le storie che ho sentito in casa da quando sono capace di intendere e volere. Non le vicende con un ‘Happy end’ o le storie dei ‘Giusti’ che hanno salvato qualcuno durante la guerra. Le storie del Campo. Le parole del Campo. Le immagini del Campo”.
Francesca Matalon twitter @fmtalonmoked
(29 febbraio 2016)