Giorgio Bassani. 100 anni dopo
Enigmatico, silenzioso, anti neorealista. Un uomo che credeva nella “coraggiosa solitudine dello scrittore” e che sapeva scatenare negli altri (scrittori) “dubbi salutari e insoddisfazioni creative”. Viene analizzata con levità e poesia dai maggiori quotidiani italiani, l’eredità intellettuale di Giorgio Bassani, nato esattamente cento anni fa a Bologna.
Originario di una famiglia ebraica benestante, Bassani ha raccontato Ferrara, la città dell’adolescenza e dei primi palpiti, attraverso il ciclo Il romanzo di Ferrara composto rispettivamente da: Cinque storie ferraresi, Gli occhiali d’oro, Il giardino dei Finzi-Contini , Dietro la porta, L’airone, L’odore del fieno; opere nelle quali l’identità ebraica si mescola con le strade della città e dove la persecuzione nazifascista arriverà a tempestare gli animi già turbati dai sentimenti.
Laureatosi in Lettere con una tesi su Niccolò Tommaseo, nonostante le limitazioni successive alla promulgazione delle leggi razziste, durante la guerra si impegna in prima linea nelle attività clandestine antifasciste. Trasferitosi a Roma diventerà uno dei più attivi intellettuali e prolifici autori: nel 1956 vince il premio Strega per Cinque storie ferraresi e collabora a sceneggiature per numerosi film italiani. Alla scrittura accosta poi il lavoro di consulenza per la casa editrice Feltrinelli fregiandosi della rivalutazione del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che fece pubblicare. A costarli qualche dispiacere furono invece gli attacchi del neoavanguardistico Gruppo 63 (il movimento culturale che contò tra le sue file anche Umberto Eco), come ha rievocato di recente Salvatore Silvano Nigro sul domenicale del Sole 24 Ore, con una riflessione dal provocatorio titolo “Perché Bassani non è Liala”.
Il 1963 – scrive Nigro – “era il momento più rissoso di una polemica letteraria avviata da qualche anno nell’ambito della campagna neosperimentale del Gruppo 63. Pare che sia stato Edoardo Sanguineti a inventare la formula che mortificò Bassani e Cassola. I due scrittori vennero additati come ‘le Liale del’63’. Non fu un atto di teppismo, nella generale scalmana. Ma la cristallizzazione ironica di uno schizzo di polemica contro il ‘tradizionalismo’ in letteratura; una provocazione giovanilistica che, con le scanzonate malignazioni che sottindendeva, richiamava quel ‘genere testa da cappellino’ evocato da George Eliot a proposito dei sentimentalismi, delle fatuità e dell’odore di rosa secca, delle ‘signorine romanziere’.”.
Uno scherzetto snobistico che non piacque per nulla a Bassani che rispose assai piccato: “I più presi di mira siamo noi, gli scrittori della generazione di mezzo, noi che siamo usciti dalla Resistenza conservandone la tensione morale e l’impegno politico. Quelli che ci attaccano sono le anime belle della letteratura (…) Che si possa incontrarli qui a Roma nei caffè di piazza del Popolo, o in qualche ristorantuccio di via della Croce o di piazza Sforza Cesarini, tutti aggiornati anche fisicamente, nel taglio dei capelli e delle barbe, nelle giacche e nelle brache di velluto, nei camiciotti a quadrettoni, tutti così artisti, così ‘irresponsabili’, così innocuamente ‘arrabbiati’ o gelidi, comunque sempre chic, non aiuta davvero a chiarire l’enigma sulla loro reale identità (…) Il mio parere è che dei letterati della neoavanguardia si potrà cominciare a occuparsi soltanto quando avranno prodotto qualcosa di oggettivamente accettabile”.
Allo stesso tempo però Nigro sottolinea una certa ingenuità nell’additare il Gruppo 63 come una sorta di squadra compatta volta alla distruzione dell’opera di Bassani. Tanto per cominciare Umberto Eco si è sempre dissociato ed inoltre, evidenzia Nigro, a costituire una vera e propria eccezione nel gruppo fu Giorgio Manganelli che stese una recensione entusiastica del Giardino dei Finzi-Contini definendo il romanzo “Una solenne meditazione con figure” e regalando una puntuale analisi del nobile distacco della famiglia protagonista.
In occasione dei 100 anni dalla nascita dello scrittore, viene inoltre pubblicato il libro di Enzo Siciliano, Bassani, edito da Elliot, con la prefazione di Antonio Benedetti che sul Corriere della sera ricostruisce il rapporto tra i due autori, quello di un allievo (Siciliano) e del suo puntiglioso maestro ed editor.
“Bassani – scrive Debenedetti – amava il romanzo, gli era fedele come si è fedeli a una religione. Non tollerava eresie. Enzo Siciliano, che amava il romanzo con eguale passione, imparò ascoltando Bassani e più tardi Attilio Bertolucci in che modo rendere attivi nel suo lavoro letterario i classici, le molte letture fatte nell’adolescenza. (…) Bassani non prescindeva dal culto della pagina ben costruita, senza licenze o sviste. Il Siciliano esordiente dei Racconti ambigui apprese proprio da Giorgio, suo editor d’eccezione, l’arte di correggere, riscrivere, pulire e rifare”. Un rapporto complicato e totalizzante che fa emergere lo straordinario lato nascosto di Bassani; quello di autorevole insegnante armato di penna e calamaio, come si legge: “L’insegnamento di Bassani era anzitutto intimidente. Nell’insieme severo, senza negarsi quando occorreva alla cordialità del riso. Che dire? Il suo fare nascondeva, facendotela sentire nell’aria pronta a colpirti, la parola babbeo. Tu ti vedevi, quando era il caso, come un babbeo di proporzioni ciclopiche. A volte avevi l’impressione errata che Giorgio ti dicesse le stesse cose che ti diceva il tuo professore di liceo ma non era così. Bassani sapeva scatenare in te dubbi (salutari), insoddisfazioni (creative), sensi di colpa nemici delle scorciatoie e delle scelte culturalmente facili”.
A sedici anni dalla sua morte, c’è infine un unico rammarico, segnalato da La Stampa: il fatto che Giorgio Bassani sia di gran lunga più apprezzato all’estero che in Italia. Scrive Paolo Di Paolo: “Tradotto in inglese, anche negli Stati Uniti, in francese, in tedesco, in spagnolo, in catalano, in portoghese, in olandese, in albanese. Non è poco. Una scrittrice anglo-bengalese premio Pulitzer come Jhumpa Lahiri lo cita come autore per lei essenziale, e ne sceglie un verso come epigrafe per il suo ultimo romanzo, La moglie. Da noi, come al solito, è dato per scontato”. Di Paolo ricorda però che una piccola rivincita la si ha avuta con il numero monografico della rivista letteraria Nuovi Argomenti: “un coro di letture che somigliano a un piccolo risarcimento, per mano di studiosi e critici quasi tutti sotto i cinquanta. È l’omaggio della generazione successiva a quella dei nonni neoavanguardisti: quelli che spararono a zero, mezzo secolo fa, contro i bisnonni degli Anni Dieci”.
r.s. twitter @rsilveramoked
(4 marzo 2016)