Sergio Ricossa (1927-2016)
Economista torinese, tra i massimi pensatori liberisti italiani del Novecento, saggista e abile polemista, Sergio Ricossa se ne è andato in punta di piedi, senza fare rumore. Almeno così scrive chi lo conosceva bene come gli amici e colleghi Enrico Colombatto, Lorenzo Infantino e Alberto Mingardi. Ciascuno ha voluto rendere omaggio a suo modo a Ricossa, ricordandone gli insegnamenti, la personalità orgogliosa, le acute e sferzanti analisi socio-economiche, ma al contempo ha sottolineato con una certa amarezza come l’Italia non ne abbia riconosciuto adeguatamente i meriti. “Rischiò molto, anche fisicamente, per difendere i principi in cui credeva, e rinunciò a onori e incarichi, per non scendere a compromessi con le proprie idee. – scrive Colombatto (Lo spiffero) – Ci mancherà moltissimo la porta aperta del suo studio in Facoltà, una porta da cui filtrava la luce di un uomo che amava la libertà e che si batteva affinché anche gli altri imparassero ad amarla e rispettarla”. Firma de La Stampa e del Giornale di Montanelli, a cui fu legato da una profonda amicizia, Ricossa, nelle parole del sindaco di Torino Piero Fassino, è stato “per decenni, uno dei protagonisti del dibattito economico e politico del nostro Paese, contribuendo alla formazione di una scuola economica autorevole e riconosciuta”.
Pensatore liberale e libero, Ricossa sposerà le tesi di Friedrich A. von Hayek e sarà introdotto dall’amico Bruno Leoni alla celebre Mont Pèlerin Society, l’associazione fondata proprio da Hayek nel secondo dopoguerra che riuniva economisti, intellettuali e uomini politici sotto il cappello del liberalismo. Con la scomparsa prematura di Leoni, sarà l’economista torinese a doverne prendere l’eredità in Italia e, come scrive Infantino sul Sole 24 Ore, “Erano anni in cui le idee di libertà non andavano di moda. Il liberalismo era considerato dai più come una triste e marginale sopravvivenza del passato. I suoi sostenitori erano ritenuti dei nostalgici, le cui deboli forze non avrebbero potuto resistere all’inarrestabile dialettica della Storia. I destini progressivi dell’umanità erano affidati a utopie salvifiche, che promettevano l’eliminazione di tutti i “problemi maledetti”.
Daniel Reichel
(4 marzo 2016)