Calcio, il modello spagnolo per la rivoluzione
Dopo aver passeggiato sulla più quotata Bosnia dei romanisti Pjanic e Dzeko (allora al Manchester City), i tifosi israeliani avevano cominciato a sperare. Forse quest’anno riusciamo a qualificarci alle fasi finali dell’Europeo di calcio! Ma quel 3 a 0 rifilato ai bosniaci davanti ai trentamila del Sammy Ofer Stadium di Haifa è stata un’agrodolce illusione. Israele prima per una sera nel girone e il sogno di squadra e tifosi di calcare per la prima volta il palcoscenico più importante per le nazionali europee. Ma in Francia, ad Euro 2016, la selezione bianco-azzurra non ci sarà. Di nuovo. Come è accaduto dal 1994 – anno in cui l’Israele del calcio ha iniziato a far parte dei tornei Uefa – in avanti. L’ultima e unica qualificazione ai Mondiali risale al 1970, quelli di Italia-Germania 4 a 3, quelli di Pelé che in finale sale in cielo e trafigge di testa il portiere azzurro Albertosi. Quasi mezzo secolo di digiuno dal grande calcio dunque per Israele che ora pensa a una rivoluzione o a una rifondazione. E le chiavi per questo cambiamento strutturale saranno affidate allo spagnolo Fernando Hierro, “El Mariscal”, il maresciallo, soprannome che in una terra di soldati e generali di certo non sfigura. A lui il ministro della Cultura e dello Sport Miri Regev vuole dare il compito di rilanciare il calcio israeliano. Un triennale da consulente, lautamente retribuito dicono i media locali, per portare il modello spagnolo a Tel Aviv, Haifa, Gerusalemme. “Si tratta di un metodo costruito attorno a una modalità di apprendimento unico, a cui aderiscono tutti gli allenatori e le squadre di Spagna” spiegava Hierro, bandiera di un Real Madrid con cui alzò tre volte la Coppa dei Campioni (poi Champions League), con cui vinse tutto quello che si poteva vincere. A caldeggiare l’arrivo dello storico capitano dei blancos (con cui giocò 429 partite) una vecchia conoscenza del calcio spagnolo, Haim Revivo, trequartista che sul finire degli anni ’90 vestì per 124 volte la casacca azzurra dei galiziani del Celta Vigo. Revivo ha infatti indicato Hierro come l’uomo giusto per fare il salto di qualità al sistema calcio israeliano, capace di far emergere alcuni buoni giocatori (ultimo in ordine di tempo, Eran Zahavi, oggi punto fermo del Maccabi Tel Aviv ma con un passaggio in serie A con il Palermo – con cui si è tolto qualche soddisfazione), ma lontano dal riuscire ad affermarsi a livello internazionale con le squadre di club e soprattutto con la nazionale. Non è una questione di numeri (intesa come popolazione del Paese) perché altrimenti non si spiegherebbe come Irlanda del Nord, Galles, Albania, Austria e la minuscola Islanda – con diversi milioni in meno di persone rispetto a Israele – siano riuscite a centrare l’obiettivo Francia 2016 mentre Zahavi e compagni saranno costretti a guardare alla televisione l’Europeo. E, senza andare lontano, non si spiegherebbe la qualità dell’Israel Basket, da tempo abituato a competere ad altissimi livelli. Classe 1968, Hierro dopo essere stato a lungo capitano dei blancos si è spostato in Inghilterra, dove ha concluso la sua carriera. Tornato in Spagna, gli è stata affidata la direzione della Federazione calcistica del paese per poi tornare a casa a Madrid, ovviamente sponda Real: qui ha fatto il secondo all’allenatore Carlo Ancelotti. “Ho scelto questo incarico perché è una grande sfida. Ho fatto vari lavori in Spagna e sono sicuro di poter trasmettere la mia esperienza per migliorare il calcio israeliano”, ha dichiarato Hierro. Il piano richiederà investimenti sin dalle giovanili (6-8 anni) e prima di vederne i risultati passeranno anni. Di certo l’obiettivo Mondiale – Russia 2018 – per la nazionale è difficilissimo. Sulla sua strada troverà infatti proprio le Furie Rosse dell’ex Hierro. E l’Italia, prima avversaria per Israele il prossimo 5 settembre.
Daniel Reichel, Pagine Ebraiche Marzo 2016