Matrimonio, la Chuppah non piace a tutti
Perché in Israele, paese all’avanguardia sotto molti profili rispetto al riconoscimento dei diritti delle coppie, non esiste il matrimonio civile? È uno dei grandi interrogativi che attraversa la società israeliana. L’elefante nella stanza che in molti, soprattutto tra i banchi della Knesset, fanno finta di non vedere ma che prima poi dovrà essere affrontato. Soprattutto perché la maggioranza dell’opinione pubblica, il 70 per cento secondo un sondaggio di Haaretz e poco meno secondo uno commissionato dal canale Arutz 10, vorrebbe vedere istituito anche in Israele il matrimonio civile. E non tanto per celebrare in questo modo le proprie nozze (il 65 per cento degli intervistati da Arutz 10 dichiarava di voler comunque sposarsi con il rito ebraico) ma per avere una possibilità di scelta. Ma il tema è molto complesso: non si tratta (solo) di una questione dei diritti individuali ma siamo di fronte a una decisione che potrebbe segnare la stessa identità dello Stato ebraico, ammette l’ex giudice della Corte suprema israeliana Aharon Barak. E qui si gioca la partita, con la forte opposizione del mondo religioso contro il matrimonio civile – seppur in Israele molti dei diritti delle cosiddette coppie di fatto siano riconosciuti – visto come un fattore “che porterà alla distruzione del popolo ebraico”, almeno secondo le parole di alcuni esponenti del Rabbinato centrale di Israele, che ha la gestione dei matrimoni ebraici nel paese. Questi ultimi sono infatti regolati da norme ereditate dai tempi dell’impero ottomano e del mandato britannico, leggi che sanciscono che lo Stato deve garantire a ciascuna comunità religiosa competenza esclusiva in alcune questioni, tra cui i matrimoni. Pertanto per sposarsi in Israele bisogna passare attraverso le istituzioni religiose (ebraiche, cristiane, druse o musulmane che siano). Per gli ebrei, dal Rabbinato centrale, che, come è noto, è ortodosso. Questo porta all’effetto che una parte dell’opinione pubblica contesta: gli unici matrimoni ebraici che di fatto si possono celebrare nel Paese devono seguire le regole dell’ortodossia. Gli altri casi non sono riconosciuti.
In realtà, come si diceva, buona parte dei diritti della coppia vengono tutelati dalla giurisprudenza israeliana. Le coppie che non hanno un matrimonio riconosciuto dallo Stato possono per esempio, in caso di separazione, avvalersi dei tribunali per chiedere alcune protezioni coniugali in caso siano in grado di dimostrare di aver condiviso una famiglia e una relazione sessuale con il partner.
Dal 1960, poi la Corte Suprema israeliana ha stabilito che le unioni registrate in un paese estero abbiano valore anche nel paese di origine. Molte coppie, soprattutto quelle interconfessionali, hanno dunque aggirato le restrizioni andando a sposarsi fuori da Israele, solitamente nella vicina Cipro. Ma anche questo processo di riconoscimento non è semplice a causa dei controlli delle autorità per verificare che l’unione sia autentica e non celebrata al solo scopo, ad esempio, di ottenere la cittadinanza. Le coppie devono affrontare interrogatori dettagliati e viene loro chiesto di fornire immagini, lettere e altre prove che attestino la natura del loro rapporto.
Nel 2010, la Knesset ha approvato una legge che riconosce le unioni civili, per i casi in cui entrambe le persone che vogliono sposarsi sono registrate come non appartenenti ad alcuna religione.
Daniel Reichel