Israele – Sapori
Duello all’ultima portata

Game-of-Chefs-5154 Abbondante talento, lacrime a profusione, il luccichio delle celebrities, competizione, fantasia e un pizzico di cattiveria. E il lato fashion del cibo, certo. È la ricetta ormai molto ben rodata del format del talent show culinario, una delle proposte televisive più apprezzate dagli israeliani. E dopo un anno di grande attesa è ora tornato alla sua seconda stagione Game of Chefs – in ebraico Mischakei Hachef – il programma in onda sul canale Reshet che tiene testa a Masterchef facendo restare gli israeliani incollati al piccolo schermo. Basato su una formula statunitense, tre famosi e stellati chef valutano i piatti dei concorrenti senza però sapere chi li ha cucinati, componendo mano a mano ognuno la sua squadra dalla quale dovrà emergere alla fine un unico vincitore.
Il vero piatto forte, a parte quelli preparati dai concorrenti, sono come in ogni talent che si rispetti i giudici. Tornano quindi in onda Meir Adoni, re della scena foody di Tel Aviv con i ristoranti Catit e Mizlala (tra gli altri), Moshik Roth con le due due stelle Michelin attribuite al ristorante “&samhoud places” di Amsterdam, e Assaf Granit, famoso per Machneyuda a Gerusalemme e The Palomar a Londra, nominato più volte il miglior ristorante della città, ma anche per il suo esprit particolarmente televisivo che lo ha portato anche a Mahapecha Bamitbach, la versione israeliana di Cucine da incubo, facendosi conoscere come il Gordon Ramsay sabra. Il loro ruolo è quello di giudici, ma anche di leader per le loro squadre e veri e propri mentori per i concorrenti, e ognuno si è fatto conoscere nella passata edizione del programma per un lato del suo carattere, tanto che il Jerusalem Post ha definito Adoni “l’affabile e spesso emotivo”, Granit “il fiero, capriccioso (e ora barbuto!)”, e Roth “l’imperturbabile”.
Il punto clou di Game of Chefs sono le selezioni dei concorrenti, attuate tramite la formula del “blind tasting”. Gli appassionati di talent canori saranno già familiari con il termine “blind audition”, coniato a The Voice – e in effetti per i veri intenditori si potrebbe tranquillamente dire che Game of Chefs sta a Masterchef come The Voice sta a X Factor. Il meccanismo è il medesimo: ogni concorrente arriva in studio pronto per preparare il suo piatto forte, e una volta conclusa la preparazione lo mette su un nastro trasportatore che lo fa arrivare di fronte ai tre giudici. I quali non hanno la minima idea di cosa aspettarsi, in quanto non sanno niente né della persona che ha cucinato né di che ricetta abbiano davanti. Basandosi quindi solo sull’assaggio, i tre devono decidere se far andare avanti il concorrente fino alla prossima manche, incontrandolo solo e soltanto dopo aver preso la loro decisione. La parte migliore dei blind tasting è naturalmente l’incontro, che spesso non corrisponde nemmeno lontanamente alle aspettative dei tre chef.
Uno di quelli che ha fatto maggiormente parlare di sé la scorsa stagione è stato quello con Daniel Rachamim, un ventiduenne ex calciatore nel Hapoel Petah Tikva che aveva dovuto abbandonare il campo dopo un infortunio. Nei sei mesi in cui è rimasto a casa in riabilitazione – ha raccontato ai giudici – guardava molti programmi di cucina alla tv e aiutava sua mamma, ritrovando una sua nuova dimensione tra i fornelli.
E poi a volte ci sono storie un po’ meno a lieto fine come quella della diciassettenne Shelly, che ha imparato a cucinare per prendersi cura dei suoi fratellini, ma anche se la sua storia ha commosso l’intero paese non è riuscita a passare il turno. Però lo chef Roth l’ha rincorsa dietro le quinte per dirle di continuare a provarci, e che sicuramente un giorno avrebbe avuto un futuro nel campo della ristorazione. Certo, i giudici non sono sempre così buoni. Anzi: più sono cattivi, più piacciono. I loro commenti tra l’acido e il crudele sono la parte più memorabile del programma, come del resto avviene con i Masterchef e simili di tutto il mondo. “Chi potrebbe mai aver fatto questo piatto? Mia nonna, se assumesse droghe pesanti”, uno dei più citati.
Infine, l’edizione di quest’anno promette un’ulteriore novità. Alla fine delle riprese, Adoni ha dichiarato al Jerusalem Post di essersi posto come sfida personale che ogni cosa cucinata dalla sua squadra sarebbe stata completamente casher. “Chiunque prenderà nota delle ricette vedrà che ogni ingrediente è rigorosamente casher”, ha annunciato. “Per me è un messaggio importante – le sue parole – e desidero dimostrare che cucinare casher non toglie nulla alle abilità di un cuoco in alcun modo”.

f.m. twitter @fmatalonmoked

(6 marzo 2015)