Jewish rap, in rima contro Trump
“Per favore non votate per quel …”. Bip.
Non conosce mezzi termini il rapper di Pittsburgh da 100 milioni di click Mac Miller quando deve schierarsi politicamente, professandosi in maniera colorita contro la scesa in campo del magnate Donald Trump, candidato alle primarie repubblicane nella lunga corsa per la Casa Bianca.
L’ultimo affondo in un duello che dura dal 2011, l’anno in cui il rapper ha pubblicato il suo terzo singolo intitolandolo, per l’appunto “Donald Trump” e scatenando le sue ire.
Ma andiamo con ordine: nato nel 1992 con il nome di Malcolm James McCormick, Mac Miller proviene da una famiglia ebraica di Pittsburgh, cresce nella congregazione reform di Rodef Shalom e sviluppa precocemente una predilezione per la musica che lo fa diventare un piccolo fenomeno per gli appassionati del genere. Ama la provocazione e si fa tatuare un enorme ‘chai’ (che significa ‘vita’ in ebraico sul braccio), nonostante i tatuaggi siano proibiti per la sua religione di appartenenza.
“Io amo la vita – spiega al giornale ebraico inglese Jewish Chronicle – Sono un tipo positivo. Sono cresciuto nella religione ebraica, ho fatto il Bar mitzvah e frequentato il campeggio estivo ‘Emma Kaufmann’. Il tatuaggio serve a ricordarmi chi sono. Ho tatuato il chai perché la vita è davvero importante e bisogna godere di ogni singolo istante”.
Dopo l’esordio con il singolo “Knock, knock”, nel marzo del 2011 pubblica su youtube il video della canzone “Donald Trump” dedicata all’omonimo multimilionario al quale si vuole ispirare per conquistare soldi e fama.
“Hopefully, I’ll be at the top soon / For now, I’m at my house on the couch, watching cartoons”, “Presto, si spera, raggiungerò la cima / per il momento sono sul divano di casa a guardare i cartoni animati”, uno dei (pochi) versi senza turpiloquio.
Una hit che in breve tempo viene ascoltata da milioni di visitatori e giunge all’orecchio dello stesso Trump che si dichiara lusingato e proclama Miller “il nuovo Eminem”.
L’entusiasmo si spegne però due anni dopo, quando il futuro candidato per la presidenza americana pubblica su Twitter dei messaggi provocatori destinati al rapper nei quali lo intima di dargli una percentuale dei guadagni per aver lucrato sul suo nome. “Piccolo Mac Miller, hai usato illegalmente il mio nome per la canzone di Donald Trump”, “Voglio i miei soldi” e ancora “Ti farò una bella lezioncina di legge e finanza”, “Ho più capelli di te nonostante la differenza di età”.
Il rapper oltre a spiegare che il suo nome era stato usato per puro caso e poteva essere anche cambiato con “Bill Gates” senza che la canzone perdesse il suo senso, ha lanciato un messaggio riappacificatore: “Non voglio riversare energia negativa nel mondo – ha pubblicato su Twitter – Trump, diventiamo amici”.
La tregua ha retto fino a quando Donald Trump non ha deciso di scendere in politica e Miller si è ritrovato malvolentieri ad essere stato il profetico autore del suo inno rap. Tanto che si è pentito per aver favorito in qualche modo la sua scalata.
Una scalata nella quale non sono mancati scivoloni colossali: in un intervista alla CNN, a Trump è stato chiesto cosa pensasse dell’appoggio datogli da David Duke, ex capo del Ku Klux Klan, organizzazione che propugna la supremazia della “razza bianca”, e lui – che in una passata intervista aveva condannato proprio Duke per le sue posizioni – prima ha detto di non conoscerlo poi, per rispondere, ha citato inspiegabilmente un’organizzazione ebraica. “Disapprovo Duke – ha detto – ma non me la sento di disapprovare dei gruppi se non so chi sono. Mi spiego, nei gruppi potresti avere anche la Federazione dei filantropi ebrei”. Un accostamento surreale non affatto gradito dalla Anti defamation league che ha chiesto spiegazioni. Trump si è poi giustificato rispondendo che “non sapeva di cosa stava parlando”. Ha destato qualche imbarazzo anche il saluto dei suo sostenitori con il braccio alzato, sui social media accostato alle fotografie delle adunanze naziste; e non si può non menzionare infine il recente tweet nel quale Trump ha trovato di suo gradimento il celebre motto di Benito Mussolini: “Meglio un giorno da leoni che 100 da pecora”.
“Quando ha iniziato la sua campagna elettorale – ha spiegato – ho detto: o cavolo è orribile, ho fatto una canzone col nome di questo tizio che si sta rivelando un idiota totale”. Dissociandosi dal candidato, Miller ha inoltre continuato a lanciare sui social network le sue opinioni e la sua piccola battaglia contro il razzismo scrivendo: “Il razzismo è un sistema costruito per mantenere lontano dal successo e l’evoluzione chi appartiene ad un’etnia diversa”, “Bianco-nero. Tutti hanno paura. Sii te stesso” e infine: “Nessuno è uguale. Tutti siamo diversi e tutti siamo belli. Chi dice ‘ognuno è uguale all’altro’, è debole”
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(7 marzo 2016)