Primarie Usa – L’identità ebraica di Sanders
“Orgoglioso di essere ebreo”

Democratic Presidential Candidates Debate In Flint “Sono molto orgoglioso di essere ebreo, ed essere ebreo è una parte essenziale di quello che sono come essere umano”. Per la prima volta Bernie Sanders, in corsa contro Hillary Clinton per le primarie democratiche negli Stati Uniti, ha parlato apertamente della sua identità ebraica. A stimolare le dichiarazioni, una provocazione rivoltagli nel corso di un dibattito con la sua avversaria svoltosi a Flint, in Michigan, legata al fatto che dall’inizio della campagna il candidato è stato più volte criticato per aver sempre tenuto la sua religione sullo sfondo senza parlarne troppo. “Era intenzionale?”. Negativa la risposta di Sanders, che ha così brevemente ripercorso le sue origini, spiegando quanto la vicenda dei suoi genitori emigrati negli Stati Uniti dalla Polonia per fuggire dalla Shoah abbia influito sulla sua visione della politica.
“La famiglia di mio padre fu perseguitata da Hitler durante la Shoah, quindi so benissimo cosa vuol dire quando la politica diventa radicale ed estremista”, ha affermato. Suo padre Eli Sanders lasciò il villaggio polacco di Slopnice, dove viveva una fiorente comunità ebraica, per partire alla volta degli Stati Uniti in cerca di fortuna nel 1921, ancora diciassettenne. La storia ebraica di Slopnice si interruppe poi quasi del tutto con la Shoah. Sotto l’occupazione nazista i campi intorno al villaggio rurale furono infatti usati per effettuare dei lanci aerei, mentre gli esercizi commerciali e i beni degli ebrei che vi risiedevano vennero chiusi e confiscati. I familiari di Eli rimasti furono tutti deportati e uccisi. Una storia tragica che ha colpito indirettamente anche Bernie: “Ho imparato questa lezione quand’ero un bambino piccolissimo – ha raccontato Sanders – quando mia mamma mi portava a fare la spesa e vedevamo le persone che lavoravano nei negozi che avevano numeri tatuati sulle loro braccia, perché erano stati nei campi di sterminio”.
“Siamo fieri del senatore Sanders, che porta il nome di Slopnice nel mondo. Gli auguriamo i migliori successi”, la dichiarazione di orgoglio del sindaco della cittadina Adam Soltys. Ma al di là di questo, il jewish pride che di prassi si scatena in questi casi non ha preso il volo, nonostante Sanders dopo i risultati del New Hampshire abbia ottenuto il titolo di primo ebreo della storia ad aver vinto alle elezioni primarie in uno Stato. Il punto è che Bernie non ha mai tenuto nascoste le sue origini soprattutto quando interpellato a riguardo, ma allo stesso tempo non ha mai davvero dimostrato di volerne parlare a fondo, definendosi prima di tutto un socialista e preferendo parlare di agenda economica (a sostegno della quale, tra l’altro, 45 rabbini hanno firmato negli scorsi giorni una petizione).
Sono molte le occasioni in cui la sua apparente reticenza ha fatto discutere. In un dibattito a febbraio ad esempio, a una domanda sul potenziale storico della sua rivale Hillary Clinton, che potrebbe diventare la prima donna presidente degli Stati Uniti, Sanders aveva detto che anche l’arrivo di qualcuno con il suo “background” alla Casa Bianca sarebbe stato una prima volta, ma non aveva specificato che sarebbe stato il primo presidente ebreo. E poi, qualche tempo dopo, nel criticare il problema del razzismo nei confronti dei neri, aveva sottolineato come a differenza dell’attuale presidente Barack Obama “a me nessuno ha mai chiesto se sono o non sono cittadino americano. Mio padre – le sue parole – è immigrato dalla Polonia, ma santo cielo qual è la differenza? Forse il colore della nostra pelle”. Ma il perché non avesse aggiunto di far parte anche lui di una minoranza ancora soggetta a odio razziale era rimasto per l’opinione pubblica un mistero.
A scavare nell’identità ebraica di Bernie Sanders ci hanno pensato però i giornalisti. In molti avevano in primo luogo cercato di scoprire il nome del kibbutz israeliano dove il candidato aveva detto di aver passato un periodo come volontario, senza però voler svelare dove. A risolvere l’arcano, il giornalista Yossi Melman che al tempo della rivelazione lavorava per Haaretz e in un recente tweet ha informato i naviganti: “Hanno riportato che Bernie Sanders si sia rifiutato di dire in quale kibbutz abbia lavorato negli anni ’60. Negli anni ’90 me lo ha detto in una intervista: è Shaar Haamakim”, una comune agraria nel nord d’Israele associata alle attività del gruppo ebraico giovanile dell’Hashomer Hatzair. A rivelare poi di più del legame a doppio filo di Sanders con la sua identità ebraica è stato il sito del movimento chassidico Chabad Lubavitch, che ha pubblicato una ricerca sulle sue azioni politiche. Quando era sindaco di Burlington (Vermont), si legge, Sanders ha partecipato diverse volte all’accensione della Chanukkiah in un parco pubblico organizzata dai Chabad, difendendo strenuamente l’iniziativa negli anni ’80 quando alcuni oppositori addussero che violava la separazione tra Stato e religione. Fu proprio il supporto di Sanders, si legge ancora, a facilitare e diffondere le accensioni pubbliche in tutta l’America.
Anche il legame con la spiritualità per Sanders non è un fatto da poco, e lui stesso lo ha declinato in una dimensione universale: “Io sono quello che sono – ha detto in una intervista – e la mia spiritualità consiste nel fatto che siamo tutti qui insieme. Credo che non sia una buona cosa credere che in quanto esseri umani possiamo voltare le spalle di fronte alle sofferenze degli altri”. Non lo dice solo l’ebraismo, affermava Sanders, ma anche Bergoglio, concludendo: “Non possiamo solo idolatrare multimiliardari che fanno ancora più soldi. La vita è più di questo”. E lo ha ribadito anche ieri, quando gli è stato chiesto di parlare del suo rapporto con la divinità: “Sì, per me è importante”, ha dichiarato, sottolineando il dovere morale di risolvere alcuni problemi del paese. “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te – il suo principio guida – è un imperativo per tutti e per tutte le religioni”.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(7 marzo 2016)