JCiak – La magnifica Peggy
Una vita folle? “Assolutamente sì. È stata tutta Arte e Amore”. Risponde così Peggy Guggenheim, campionessa di eccentricità e suprema collezionista d’arte e artisti, a Jacqueline B. Weld nell’ultima intervista rilasciata per la sua biografia nel 1978, poco prima di morire. Le registrazioni di questo botta e risposta, che finora si credevano perse, sono ora al centro di Peggy Guggenheim: Art Addict, il documentario di Lisa Immordino Vreeland nelle sale italiane da lunedì 14, che ne ricostruisce la vita, gli amori e soprattutto la sfrenata passione per l’arte.
Figlia di quel Benjamin che nel 1912 affonda sul Titanic e nipote di Meyer, ashkenazita svizzero arrivato in America nel 1847 e fondatore delle fortune della famiglia Guggenheim, Peggy è una delle figure chiave sulla scena dell’arte contemporanea. Il bellissimo e inedito materiale d’archivio ce la restituisce in tutta la sua effervescenza: civettuola nei suoi abiti colorati e negli occhiali a farfalla, signora di gran mondo con i suoi gioielli di design e gli abiti da sera, tenera con i suoi adorati cagnolini e appassionata nel suo amore per l’arte e i suoi creatori.
Nata nel 1898, Peggy Guggenheim presto si sposta in Europa e dimostra un fiuto sopraffino per le nuove tendenze e nel giro di pochi anni riesce a mettere insieme una delle collezioni d’arte contemporanea più importanti del mondo che, secondo una delle testimonianze raccolte in Art Addict, le costa allora 40 mila dollari. In quella che allora è una nicchia su cui pochi sono disposti a scommettere – surrealisti, dada e cubisti ‘si ritaglia un ruolo di mecenate, amica, talvolta innamorata. Lei, che in anni di assoluta pruderie dichiara in allegria di aver dormito con almeno mille uomini, non solo intrattiene relazioni amorose con i suoi protetti (tra i suoi mariti, tanto per la cronaca, figura Max Ernst) ma li sostiene negli anni orrendi della seconda guerra mondiale tanto da rischiare di finire in un campo di concentramento.
La sua passione artistica non conosce ostacoli. A Parigi compra un quadro al giorno: Picasso, Mirò, Ernst, Dalì, Klee, Chagall e tanti altri. Stupisce Fernand Léger acquistandogli un quadro lo stesso giorno in cui Hitler invade la Norvegia e acquisisce una meravigliosa scultura di Brancusi mentre i tedeschi sono sul punto di invadere Parigi. Una volta tornata in America, scopre Jackson Pollock che allora lavora come falegname nell’industria suo zio e intanto sostiene Mark Rothko, Robert Motherwell e molti altri. Non stupisce che nel 1948 la Biennale di Venezia le metta a disposizione un intero padiglione. “Mi sono sentita un paese intero”, esulterà lei.
Un anno dopo compra un palazzetto sul Canal Grande, Ca’ Venier dei Leoni, dove crea il museo d’arte contemporanea che sogna fin dalla giovinezza. S’installa anche lei in quel luogo meraviglioso che tre pomeriggi a settimana è aperto ai visitatori, da lei evitati con cura. Nei suoi ultimi anni Peggy Guggenheim trascorre le giornate nel suo palazzo e ogni sera esce a bordo della sua gondola. I tempi dell’avventura dell’arte per lei sono finiti ma, scrive a un amico poco prima di morire, il suo museo “è una delle più famose attrazioni di Venezia, così ho realizzato almeno la mia grande ambizione”.
La sua casa e la sua collezione sono stati da lei donati al Solomon Guggenheim Museum di New York, che aveva soprannominato con sarcasmo “il garage che Frank Lloyd Wright ha progettato per mio zio sulla Fifth Avenue”. Ma ancora oggi il magnifico museo veneziano trasmette l’impeto del suo trasporto per l’arte. “Cosa rappresentano per lei questi quadri?”, le chiede Jacqueline B. Weld nell’intervista del 1978. “Sono diventati la cosa più importante della mia vita. Non posso pensare di vivere senza di loro”, sospira Marguerite Peggy Guggenheim. Difficile immaginarla mentre dice lo stesso di uno dei suoi mille amori.
Daniela Gross
(10 marzo 2016)