Israele – L’ex capo del Mossad Meir Dagan (1945 – 2016)
“Qual è il messaggio che voglio lasciare? Che le vere lezioni non si trovano nelle parole, nei discorsi, nelle storie. Sono nelle azioni”. E Meir Dagan, per otto lunghi anni a capo del Mossad, era sicuramente un’uomo d’azione. “Ho attraversato tutte le guerre, avevo la divisa indosso nel ’67, nel ’73, nella Guerra d’attrito, nella guerra in Libano del 1982”, ricordava in un’intervista, “è stato un onore servire il mio Paese”. Ora che è scomparso (ad annunciare nelle scorse ore la sua morte il capo del Mossad Yossi Cohen), le parole “eroe” e “soldato” sono quelle più utilizzate per onorarne la memoria. Sicuramente Dagan aveva un’incrollabile fiducia in Israele e nella necessità di difenderla dai suoi nemici. “Meir era un uomo di Stato che sapeva che non esiste una vittoria militare senza una vittoria diplomatica. Non si è mai arreso a nulla, non ai nemici non alla malattia”, il ricordo dell’ex presidente d’Israele Shimon Peres: “era uno dei miei migliori amici. Mi mancherà molto, anzi già ne sento la mancanza”. “Meir è stato uno dei più grandi guerrieri, dei più coraggiosi, creativi e devoti che il popolo ebraico abbia mai avuto. – la testimonianza dell’attuale presidente israeliano Reuven Rivlin – La sua devozione allo Stato di Israele era assoluta”.
Ma la storia di Dagan, come di molti di coloro che hanno speso la vita per difendere il proprio paese, non è fatta di sole luci. Seppur non sia tra gli ex capi del Mossad intervistati da Dror Moreh in The Gatekeepers, si può annoverarlo tra i Guardiani di Israele e con loro ha condiviso le sfide morali che questo ruolo pone. Ed è in questo quadro che bisogna valutare il ritratto che ne fa Anshel Pfeffer sul quotidiano Haaretz: “Nei suoi quattro decenni nel mondo militare e nello spionaggio, Dagan è stato uno dei principali sostenitori e tra coloro che praticarono l’uso della forza, spesso nei metodi più sporchi e più subdoli, per promuovere gli interessi di Israele a tutti i livelli e su tutti i palcoscenici arene. – scrive Pfeffer – Era come se le circostanze brutali della sua nascita, in un treno gelido nel gennaio 1945, da genitori polacchi sfuggiti ai tedeschi, abbia segnato le sue convinzioni e le sue azioni”.
Per la precisione, Dagan nacque il 20 gennaio del’45, nell’attuale Ucraina. All’età di cinque anni si trasferì in Israele con i genitori, sopravvissuti alla Shoah. Un passato che il guerriero Dagan rievocherà sul palco di piazza Rabin a Tel Aviv, nel 2015, senza riuscire a trattenere la commozione. “Mi sono ripromesso che quei giorni non sarebbero più tornati – spiegava con voce rotta Dagan ricordando la persecuzione nazista – Spero e credo di aver fatto ciò che dovevo per rispettare questa promessa”.
La sua carriera militare inizia nel 1963, nel reparto paracadutisti di Tsahal. Sarà scelto negli anni ’70 dal generale Ariel Sharon, con cui costruirà un solido rapporto di fiducia e amicizia, per guidare un’unità scelta, Rimon, per combattere i gruppi terroristici palestinesi nella Striscia di Gaza. Secondo Pfeffer le azioni di Rimon sono tutt’oggi controverse ed esistono ancora diversi segreti sulle azioni militari portate avanti dai soldati di Dagan. Nella Guerra del Libano, guiderà la divisione carro armati della Brigata Barak e sarà uno dei primi comandanti ad entrare a Beirut. In territorio libanese guiderà l’Unità di collegamento, con il compito di coordinare le operazioni militari israeliane nel sud del paese.
Una volta lasciata la carriera militare porterà la sua mentalità da soldato, da uomo d’azione all’interno del Mossad. A sceglierlo nel 2001 per guidare l’Istituto, il cuore dell’Intelligence di Israele, il primo ministro Sharon. Qui si concentrerà a pianificare azioni contro Hezbollah e soprattutto per arginare il potere iraniano e la sua corsa verso la bomba. Secondo alcuni, sono da ricondurre agli agenti del Mossad le morti di alcuni ingegneri iraniani considerati coinvolti nel progetto nucleare iraniano. Ed è proprio sul tema Iran che nascerà un conflitto con l’attuale Primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu – che a malincuore, scrive la stampa israeliana, aveva riconfermato Dagan a capo del Mossad. Per quest’ultimo ogni azione militare diretta contro l’Iran sarebbe stata controproducente: un attacco israeliano al regime di Teheran potrà esserci solo quando ci punteranno il coltello alla gola e questo comincerà a pungere, il concetto espresso dalla “superspia” o “superman”, come era stato definito dalla stampa egiziana.
“Un bombardamento non fermerà il progetto nucleare. Se bombardiamo, risolveremo tutti i problemi politici e alcuni di quelli economici dell’Iran portando l’intera popolazione a sostenere il regime”, la critica dell’ex capo del Mossad, resa pubblica una volta lasciato l’incarico. “Il fatto che io abbia lasciato il mio ruolo non significa che il mio livello di responsabilità o il mio desiderio di vedere fiorire Israele siano scemate”, la risposta di Dagan a chi lo attaccò proprio per aver pubblicamente criticato il governo Netanyahu sull’Iran. “Ricordatevi che la mia lealtà è prima di tutto allo Stato e non al suo Primo ministro”.
Daniel Reichel
(16 marzo 2016)