La testimonianza di due ebree milanesi
Talia e Alessandra: “Al sicuro,
ma non abituiamoci al terrore”
“Stiamo bene, del resto siamo rimaste chiuse in casa da ieri”. Si sente al sicuro tra le mura di un appartamento la milanese Talia Bidussa, ex presidente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia che adesso lavora per la European Union of Jewish Students, l’organizzazione ombrello con sede a Bruxelles che rappresenta tutte le unioni ebraiche studentesche d’Europa. In questi giorni si trova a casa di Alessandra Ortona, anche lei giovane ebrea milanese, arrivata a Bruxelles per iniziare una carriera nell’ambito delle istituzioni europee. Da ieri mattina, in seguito agli attentati terroristici che hanno colpito l’aeroporto e una stazione della metropolitana, la Capitale belga si è trasformata in una città deserta, con le forze dell’ordine che esortano gli abitanti a non uscire.
“Mi sono svegliata ieri con la notizia dell’attacco all’aeroporto e subito ho immaginato che non fosse il caso di andare in ufficio, che si trova proprio nella zona delle istituzioni europee”, ha raccontato Talia, che una volta avuta la conferma anche da parte della direzione della Eujs ha poi sentito di una nuova esplosione alla fermata della metropolitana di Maelbeek, a pochi passi da casa. Vivere queste ore trovandosi a Bruxelles ma comunque in una situazione di sicurezza “è una sensazione strana”, racconta Bidussa, che vive nella Capitale belga da poche settimane. “Da un lato ci troviamo vicinissimi ai luoghi degli attentati, – spiega – ma allo stesso tempo stando in casa riceviamo le notizie nello stesso modo e con gli stessi tempi con cui le riceve tutto il resto del mondo”.
Accanto a un forte sgomento, Ortona (che, come Bidussa, in passato ha ricoperto la carica di presidente Ugei) segnala poi una certa sensazione di impotenza, legata alla condizione di dover rimanere bloccata nel suo appartamento. “Sono qua in casa, e fino a che ci rimango so che non può succedermi niente, ma non posso negare di avere paura”, afferma Alessandra, che abitava a Bruxelles già quando c’è stato il primo lockdown in seguito agli attentati di Parigi, mentre era in corso la caccia all’uomo nella capitale belga (qui infatti si trovava la cellula jihadista responsabile degli attentati del 13 novembre). “Anche perché – aggiunge – la sola reazione delle forze dell’ordine è dire di non uscire, però questa non è una soluzione”. Un pensiero a cui si accompagna una presa di coscienza: “Ci diciamo che dobbiamo continuare a vivere le nostre vite come se niente fosse, che è questo il modo di dimostrare che il fanatismo non vincerà privandoci della nostra libertà ma di fatto è impossibile non pensare a quanto è successo”. Ma come è già avvenuto qualche mese fa, conclude Ortona “anche questa volta tra qualche giorno si tornerà a vivere la vita di tutti i giorni e, quasi dimenticando che c’è appena stato un attentato, ci si riabituerà”.
Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked
(23 marzo 2015)