Madri d’Israele – Dalia

David Zebuloni, studenteCon Purim alle porte la frenesia si fa più totale.
I figli tormentano le mamme, che tormentano i papà, che tormentano a loro volta i figli.
Inizia così un tour de force infinito, una corsa contro il tempo fatto di travestimenti improbabili e ceste piene di dolciumi e una mela, rossa o verde che sia, deposta insieme alle caramelle gommose e ai cioccolatini ripieni per mettere a tacere i sensi di colpa.
Stiliamo dunque una rapida lista delle Mitzvot a cui adempiere in questa festività nella quale tutto è possibile.
Lettura della Meghilla? Fatto. Maschere per i bambini? Fatto. Banchetto con pietanze di ogni genere? Fatto. Mishloach Manot? Fatto, eccome.
Eppure manca sempre un precetto all’appello, il più importante di tutti, forse.
Parlo delle Matanot La Evionim, quella somma di denaro corrispondente ad un pasto completo che viene interamente destinata ai più bisognosi, quell’insieme di persone che fungono da motore invisibile della società nella quale viviamo.
Ed ecco scendere in campo Dalia Coen, implacabile Madre d’Israele.
Quando la contatto per chiederle una breve intervista, stronca immediatamente la conversazione dicendosi troppo impegnata. Sento che armeggia qualcosa e parla contemporaneamente con altre due persone mentre mi comunica la spiacevole notizia.
“Non ha nemmeno cinque minuti da dedicarmi?”, domando speranzoso. “Forse questa sera riesco a ritagliarmi qualche minuto, verso le undici, prova a contattarmi a quell’ora”, risponde secca.
Da piccolo i miei genitori mi ripetevano di non giudicare mai il libro dalla sua copertina, di contare fino a dieci prima di perdere la pazienza. Decido dunque di prendere un respiro profondo e richiamarla nell’orario indicato, dimenticando così il trattamento riservatomi qualche ora prima.
“Allora, brevemente, ho fondato quindici anni fa un’associazione chiamata Yad Eliezer. La sede ha luogo a Ghivat Shmuel, ma operiamo anche in tutta l’area circostante”, esordisce Dalia. “Ci occupiamo di fornire aiuto alle famiglie bisognose”. Preso da un attimo di indomito coraggio la interrompo, domandandole che tipo di sostegno forniscano alle famiglie interessate. “Qualsiasi tipo di aiuto. Forniamo cibo e vestiti, supporto psicologico, sosteniamo qualsiasi tipo di spesa. Affitto, luce e gas, e tutti gli acquisti domestici necessari.”
Piano piano comincio a capire il perché di tutta questa frenesia. “Dalia, di quante famiglie stiamo parlando?”, azzardo esitante. “Duecento, solitamente, ma in periodi come questi arriviamo facilmente ad una quota di mille famiglie”, penso che mi abbia sentito deglutire violentemente. Mi riprendo velocemente e le domando quanti collaboratori la accompagnino nella sua nobile impresa. “Siamo in due a dirigere il tutto, ma decine di straordinari giovani volontari ci aiutano ogni giorno ed ogni notte con l’imballaggio e la spedizione dei prodotti. Fondamentale è inoltre l’aiuto fornitoci dai comuni delle città in cui operiamo, dei vari templi della zona e dai generosi donatori che non mancano mai di dimostrarci la loro vicinanza.” Dalia continua inarrestabile il suo racconto. “Collaboriamo con decine di altre organizzazioni e assistenti sociali, indirizziamo infatti quelle famiglie che presentano realtà particolarmente complesse, da associazioni che operano in maniera più specifica rispetto a noi, trattando a fondo una sola tipologia di difficoltà.”
Sono ad un passo dallo scusarmi per averla giudicata precocemente, ma decido di limitarmi a ringraziarla per il tempo prezioso dedicatomi, cercando di mettere quanto più l’accento sulla parola prezioso. Decido di omaggiarla per il suo altruismo, di complimentarmi per le sue inesauribili energie.
Dubito tuttavia che abbia colto il messaggio: l’acclamata Madre d’Israele chiude la chiamata prima ancora che io sia riuscito a terminare la frase iniziata, prima ancora che io sia riuscito a chiederle una sua fotografia da pubblicare insieme all’articolo.
Ma d’altronde si sa, i supereroi fanno sempre così.

David Zebuloni

(24 marzo 2016)