I 500 anni del Ghetto
“Un’occasione di studio”
Come ho già avuto modo di affermare in altre occasioni, voglio subito sgombrare il campo da possibili equivoci e riaffermare con forza che gli ebrei non hanno alcuna nostalgia del ghetto, la cui istituzione deve essere ricordata e studiata, ma non festeggiata e celebrata.
L’istituzione del ghetto di Venezia, e di tutti gli altri che sono stati creati successivamente, rimane indissolubilmente legata ad epoche di vessazioni e segregazioni, di negazione dei più elementari diritti civili e politici e di un secolare disprezzo, insegnato e praticato nei confronti delle civili, pacifiche e indifese comunità ebraiche.
È fondamentale che l’aspetto oppressivo e persecutorio del ghetto sia sempre tenuto presente e non venga mai sottovalutato, perché costituisce la base sulla quale si può sviluppare, in maniera oggettiva e storicamente corretta, ogni ulteriore riflessione e approfondimento.
Questo è il filo conduttore del progetto culturale, che si svilupperà nel corso dei prossimi mesi e che è stato predisposto dal comitato organizzatore, di cui l’Unione delle Comunità è entrata a far parte con forte convinzione.
Il ghetto è un tema antico, ma purtroppo ancora molto attuale; non è tanto o soltanto uno spazio fisico, un quartiere con le sue strade, le sue piazze e i suoi confini, ma concettualmente è l’archetipo di ogni forma di esclusione, di isolamento, di indifferenza, di rifiuto estremo e totale dell’altro, del diverso o presunto tale, spesso a causa di consolidati pregiudizi.
Una durissima forma di isolamento ed emarginazione, di ghetto senza mura, fu anche quella che gli ebrei subirono con l’emanazione delle leggi razziste che furono emanate dal regime fascista nel 1938, con voto all’unanimità del Parlamento, che subito dopo assunse il nome di Camera dei fasci e delle corporazioni.
Fu un tragico esempio di ghetto, meno visibile e privo di mura, ma ancora più doloroso perché i suoi confini erano fissati da norme giuridiche discriminatorie, basate su false e pretestuose teorie razziste.
Se a Venezia il ghetto, istituito nel 1516, fu abolito da Napoleone nel 1797, a Roma l’abbattimento dei cancelli fu determinato dall’unificazione all’Italia nel 1870.
Quindi, alle stesse persone che erano nate nel ghetto di Roma toccò la sorte di dover assistere, negli anni Quaranta del secolo scorso, alla costruzione di nuovi ghetti, che furono concepiti dai nazisti come vere e proprie prigioni a cielo aperto, usati sia come luoghi di sterminio per fame e malattie, sia come anticamera della deportazione nei campi di sterminio scientificamente progettati per la Shoah, l’eliminazione fisica dell’intero popolo ebraico.
Con riferimento a quella stessa epoca, rimane scolpita nella nostra memoria l’eroica resistenza dei combattenti del ghetto di Varsavia, i quali scelsero, in piena coscienza, di morire lottando praticamente a mani nude contro le truppe corazzate dell’esercito nazista pur di evitare o di ritardare, solo di qualche giorno o di qualche ora, la deportazione e la morte nelle camere a gas.
Forse dovettero cedere sul piano militare, ma mai furono umiliati, e non sono certo che una resistenza di oltre tre mesi in quelle condizioni sia stata una sconfitta; certamente quei combattenti riportarono una grande vittoria sul piano morale, umiliante per i loro carnefici, mentre essi sono assurti a figure di irriducibili e invincibili difensori della vita, della dignità e della libertà.
Certamente questa è un’altra storia, diversa da quella del ghetto di Venezia.
Ma forse un profondo legame ideale e spirituale, che può accomunare i comportamenti tenuti all’interno dei due diversi tipi di ghetto, esiste.
Infatti, il primo elemento che appare degno di nota è la capacità di resilienza degli ebrei veneziani, termine diverso, ma non opposto a resistenza, che consiste nella straordinaria capacità di adattamento al difficile contesto in cui furono confinati e nella loro ingegnosità nel superare gli ostacoli e le diverse sfide che si trovarono di fronte.
Maturò in loro una orgogliosa intraprendenza che permise di scrivere pagine indimenticabili e fondamentali della cultura europea.
Tengo a sottolineare la parola “orgoglio” perché gli ebrei veneziani, pur avendo subito molteplici soprusi, hanno superato prove durissime e non ne sono mai usciti umiliati e sconfitti.
Lo storico Simon Schama, nostro illustre ospite questa sera, sostiene che, senza un attento studio di ciò che è accaduto a Venezia, è impossibile capire i cinque secoli successivi e il rinascimento ebraico.
La storia, la vitalità, la forza d’animo degli ebrei veneziani sono un incredibile esempio di amore per lo studio, l’arte, la cultura e la libertà, ancora oggi custoditi con passione e determinazione.
Per tutti questi motivi, anche se oggi qui non si celebra una festa, ci riesce possibile parlare di un valore che è l’esatta antitesi del ghetto, cioè della Libertà.
Una libertà di cui oggi l’Italia gode, che è stata conquistata a caro prezzo e per la quale molto sangue è stato versato da tutti coloro che hanno avuto la forza e il coraggio di combattere contro le dittature fascista e nazista.
Queste dittature hanno trascinato l’Europa e il mondo in un abisso di violenza, di razzismo e di crimini contro l’umanità.
In Italia una nuova era è iniziata dal 1948, con l’entrata in vigore della Carta costituzionale repubblicana, che sancisce la libertà e l’uguaglianza di tutti i cittadini e la forte tutela dei diritti di tutte le minoranze.
Il rafforzamento di questi valori e la loro trasmissione alle giovani generazioni è l’obiettivo principale dell’evento che oggi inauguriamo.
Noi ebrei, come sempre in passato, vogliamo contribuire positivamente alla vita e al progresso della società italiana, della quale siamo stati elementi fondanti e di cui, da tempo immemorabile, siamo parte integrante.
In questo senso siamo convinti di poter offrire l’esempio di una minoranza culturale e religiosa che vive nel nostro paese da oltre due millenni e che ha assunto da sempre l’impegno di osservarne le leggi, conciliando le proprie norme etiche a quelle giuridiche previste dallo Stato.
Riteniamo di essere uno dei pochi esempi di una vera integrazione di una minoranza, che potrebbe costituire un modello in questo periodo di forti ondate migratorie.
Tutti noi ripetiamo spesso il principio che la diversità deve essere rispettata perché è fonte di progresso e perché rappresenta una ricchezza.
Affinché queste non restino parole prive di contenuto e mere dichiarazioni di principio non realizzate, vogliamo lavorare tutti insieme per abbattere ogni sorta di iniqua barriera e realizzare il giusto equilibro tra diritti e doveri, fra sicurezza e libertà.
Il rafforzamento di questi valori e la loro trasmissione alle giovani generazioni è l’obbiettivo principale dell’evento che oggi inauguriamo; ci rassicura e ci onora trascorrere questa serata assieme a tanti esponenti delle Istituzioni italiane e internazionali e a numerosi rappresentanti della società civile.
Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
(29 marzo 2016)