Venezia e i 500 anni del Ghetto
Il ricordo dei grandi Maestri
Lo Zohar commenta il verso della Genesi (III 63) “Un fiume esce dall’Eden per irrigare il giardino” come un corso d’acqua che scorre per 500 anni per arrivare al sei che è lo Zaddiq (Iesod, base del mondo) per irrigare il giardino che è l’anima supplementare del Sabato, cioè il Malkhut che è il Regno, emanazione divina nel mondo.
Nella tradizione ebraica, il passaggio dal cinque al sei è quello della tradizione scritta, Pentateuco, a quella orale della Mishnà e del Talmud. Cinque rabbini, alla Scola Levantina a Venezia, hanno aperto le manifestazioni (non celebrazioni) dei 500 anni del Ghetto nello spirito del giardino dorato della Torah e dei suoi Maestri. Sono stati ricordati rav Elio Toaff, che occupò la cattedra rabbinica dal 1954 al 1951, il rav Emanuele Artom e il rav Raffaele Grassini.
Ha aperto gli interventi il decano dei “rabbini di Venezia”, rav Avraham Piattelli, che ha deliziato il pubblico ricordando un rabbino veneziano del Seicento, Rabbi Iosef Qamis, allievo di Leon da Modena, che unì al titolo rabbinico la laurea in medicina e filosofia all’università di Padova in una continua tensione-incontro tra razionalismo e messianismo. Il professor Gavriel Levi ha esposto il passo talmudico di Meghillà dove si affronta il problema del rapporto tra la città cinta di mura e l’area esterna metropolitana. Rav Izhaq Dayan, studioso di minaghim di veneziani, ha citato esempi di responsa liturgici che confermano l’attesa messianica a Venezia. Chi scrive, allievo dei tre rabbini veneziani citati, ha esposto il passo dello Zohar dei 500 anni collegato alle omelie del rabbino seicentesco Azaria Figo, autore del Bina La’Ittim: l’oggi della Bibbia è un oggi che vuole coniugare a Venezia passato e futuro. Ha concluso la serata l’attuale rabbino capo, rav Shalom Bahbout, con un passo talmudico relativo ai “tre giuramenti” da cui deriva la possibilità di salire in Israele.
Bachomà, a causa del muro eretto dal Ghetto che ha violato il giuramento delle Nazioni di non indurire l’esilio fino alla redenzione.
Rav Umberto Piperno, rabbino capo di Napoli
(31 marzo 2016)