L’app per le emergenze

Schermata 2016-04-03 alle 12.13.51Un’App potrebbe salvarci dal terrorismo. Arriva da Israele, dove di stragi se ne intendono. Reporty, come si chiama l’applicazione per smartphone, consente di fare videochiamate di emergenza e inviare Sos a forze dell’ordine e ambulanze spingendo un tasto. I numeri chiamati (preimpostati) vedono in tempo reale, in streaming, ciò che accade dov’è il telefono, che grazie al Gps fa individuare la posizione della vittima anche in luoghi chiusi. L’utilizzo di questa App avrebbe fatto anticipare i soccorsi al Bataclan (la discoteca di Parigi dove a lungo non si è capito cosa stesse accadendo) e a Bruxelles. Una «trovata tecnologica» che prima non c’era, come evidenziano dalla start-up Reporty, che fa capo all’ex primo ministro israeliano Ehud Barak. Rispetto ai sistemi d’allarme già utilizzati, ad esempio, negli Usa, dove la cella telefonica più vicina indica, con una certa approssimazione, la posizione della vittima, Reporty fa individuare il luogo esatto da cui previene la video- chiamata, un passo avanti rispetto alle semplici telefonate vocali a cui si sono affidati finora i servizi di soccorso. In Israele, in città come Gerusalemme bersagliate dai «lupi grigi», l’angoscia e il panico sono presenze quotidiane nella vita di tutti, come il massiccio ricorso a psicofar maci: un’altra App per smartphone combatte la paura. Si chiama Serenità e l’ha creata l’Eco-Fu sion di Haifa. Un respiro profondo e, anche qui, un solo tasto da pigiare: l’Ap p, dopo aver misurato lo stato di stress, indica gli esercizi di respirazione personalizzati da eseguire. È il pulsante di comando dello smartphone a fare da sensore biomedico: si poggia su l’indice per un minuto e parte l’analisi della pressione da cui vengono valutati i livelli di stress e la capacità di concentrazione. Da qui l’App elabora gli esercizi di respirazione, della durata media di 5 minuti, da fare ogni giorno fino a quando se ne avrà la necessità. L’esperienza purtroppo ultradecennale di Israele con il terrorismo ha fatto elaborare nel Paese nuove tecniche, ma soprattutto nuovi comportamenti per la sicurezza nei cosiddetti obiettivi sensibili, come stazioni ed aeroporti. All’aeroporto di Ben Gurion, come in una qualsiasi stazione di autobus, si va soltanto per spostarsi da una parte all’altra e non per impegnarsi, lungo percorsi a volte chilometrici, in shopping e consumo di cibo. I controlli di sicurezza vengono eseguiti a un chilometro dallo scalo e i passeggeri non passano all’inter no il doppio del tempo che vi trascorrevano prima dell’11 settembre (come avviene in Occidente). A tutti gli israeliani è chiaro che i luoghi affollati sono bersagli privilegiati dei terroristi. Può sembrare un pensiero distruttivo, ma l’Europa in meno di due anni ha già subito 14 attacchi terroristici in luoghi così vari da mettere in crisi il concetto occidentale di sicurezza. La risposta è l’aggiunta di nuove procedure di sicurezza, a discapito del tempo del viaggiatore. Il risultato è la fotografia scattata dal Censis, dopo l’ultima strage di Parigi: il 73% degli italiani non va più all’estero, il 54% evita monumenti, stazioni ferroviarie e piazze, il 52,7% diserta cinema e a teatro, il 27,5% non prende più metro, treno o aereo, il 18% non esce la sera, in totale 8,3 milioni di italiani hanno cambiato abitudini.

Anna Langone, Corriere del Mezzogiorno, 30 marzo 2016