“Razzismo nel mondo del calcio,
mettiamoci tutti la faccia”
L’indifferenza e la neutralità non sono accettabili. È giusto invece che ciascuno dica qual è la sua opinione, senza fraintendimenti. Perché se non si ha il coraggio di dire che si è contro la violenza è giusto che si sappia e che ciascuno possa fare le più opportune valutazioni al riguardo”. A 75 anni Renzo Ulivieri non ha perso la voglia di battersi per le cause in cui crede. Lo faceva in panchina, in Serie A, B e nelle leghe minori. Continua a farlo oggi che degli allenatori di calcio italiani è il presidente.
Le deliranti affermazioni di Tavecchio su ebrei e omosessuali. Gli episodi di razzismo che continuano a infestare le curve. I beceri ululati a calciatori di colore, ma anche l’aggressione al radiocronista della Fiorentina e l’orrendo riferimento al “treno per Mauthausen”. “Tira una brutta aria, che è specchio di una pericolosa deriva attraversata dal paese. Sarà che siamo un popolo giovane, che è stato migrante ma che di immigrati ne ha ricevuti ancora molto pochi rispetto ad altre nazioni. Di sicuro c’è da interrogarsi e da agire al più presto, perché la situazione sta diventando intollerabile” dice Ulivieri a Pagine Ebraiche.
Sicuramente il mondo del calcio, a partire dai giocatori, può fare molto. Perché, garantisce il mister, “almeno negli spogliatoi il razzismo non esiste”. Possono esistere dissidi e problemi di altro tipo, incompatibilità caratteriali, ostilità causate dalla forte competitività dell’ambiente. Ma il razzismo, no, “tanti sono i popoli e le culture che condividono, quotidianamente e sotto lo stesso tetto, un’avventura sportiva”.
Per Ulivieri, di cui sono noti la passione e l’impegno politico, è il momento di essere “partigiani”. Anche perché, ricorda, quando il calcio vuole lanciare dei messaggi “spesso lo fa in modo incisivo”. Come quando i calciatori del Treviso, alcuni anni fa, si dipinsero la faccia di nero in solidarietà a un loro compagno, il giovane nigeriano Omolade, bersaglio di un gruppo di sedicenti tifosi. Un gesto semplice, che fece il giro del mondo e che non pochi mal di stomaco causò all’effervescente sindaco di allora, lo “sceriffo” Gentilini. “Sono piccoli gesti – afferma Ulivieri – ma che possono lanciare un segnale a tutto il paese”.
Anche perché, mentre parliamo, fanno il giro del mondo ben altre immagini. Come quelle dell’ultrà dello Sparta Praga che, in trasferta a Roma, ha pensato bene di urinare addosso a una zingara. “Sono immagini che evocano un passato che fa paura e di cui forse non c’è sufficiente consapevolezza. Eppure – sottolinea Ulivieri – un po’ di paura in più ci farebbe tanto bene per rimetterci in carreggiata”.
Anche se la messa a punto rischia di essere un po’ frenata in partenza. Ulivieri lamenta infatti l’assenza di credibilità di alcuni dirigenti del calcio italiano, spesso portata all’attenzione della pubblica opinione in passato. A partire dall’attuale presidente federale, Carlo Tavecchio, che non ha esitato a definire “inadeguato” per l’incarico assegnatogli nell’estate di due anni fa. Sia per le idee che ha su certe questioni fondamentali, non ultimo il rispetto di identità e minoranze “altre”, sia per il modo in cui le esprime.
“Mi pare che il gap sia doppio. Espressivo appunto, e in alcuni casi anche di sostanza. Il problema più in generale, di Tavecchio e di altri come lui, è di non saper affrontare le cose in modo adeguato. La lingua parlata – sostiene Ulivieri – diventa così il riflesso di una mancanza che è prima di tutto culturale”.
Una mancanza che si ripercuote anche sulla crisi del calcio italiano: crisi nei risultati, ma anche stadi sempre più vuoti e curve che sono spesso ostaggio di fazioni estremiste. Uno scenario desolante.
“La situazione non è omogenea e bisogna analizzare caso per caso. Di sicuro tempo fa c’è stata una stretta e qualche risultato è stato raggiungo. Per far sì che resti una traccia servono però pene e sanzioni sicure”.
Certezza della pena, dunque. Anche se, dice Ulivieri, “con gradualità”. Perché la strada è ardua e perché le società, talvolta, sembrano scontrarsi con logiche molto difficili da sradicare. L’importante, sostiene il nostro interlocutore, è che alle belle parole, alle belle intenzioni proclamate a mezzo stampa, seguano necessariamente “delle iniziative concrete”. È l’ora di metterci la faccia. È l’ora di essere partigiani.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(3 aprile 2016)