Qui Torino – Comunità e rabbini a confronto

20160403_203559Rabbini e Comunità. Questo il tema affrontato ieri sera a Torino, nel centro sociale comunitario, nel corso di un incontro organizzato dal gruppo Anavim. Tra i protagonisti della serata il rav Gianfranco Di Segni, in dialogo l’avvocato Paolo Fubini e con Giulio Tedeschi, docente del Politecnico di Torino. Tra i molti interventi anche quello del vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giulio Disegni.
A introdurre la serata Marta Morello, presidente di Anavim, che ha spiegato come l’incontro sia nato dalla necessità di sapere qualcosa di più sul confronto instaurato in tal senso tra il Consiglio dell’Unione e l’Assemblea dei Rabbini d’Italia.
Tra i primi a prendere la parola, Fubini, che sottolinea come il tema del rapporto tra rabbini e comunità sia centrale per la sopravvivenza stessa dell’ebraismo italiano. “È necessario condividere i contenuti per poter andare oltre l’idea di statuto come scopo e riportarlo nei confini dello strumento. Uno strumento – le sue parole – che veicoli norme propulsive”. Contrario alla condotta verticistica, Fubini sostiene che sia necessario utilizzare leve di comunicazione e di relazione nell’interesse stesso di migliorare l’ebraismo italiano. “Questa sera deve essere vista come un’embrionale sollecitazione perché ci sia maggiore comunicazione”.
Due i temi toccati da Tedeschi: le modalità di valutazione dell’operato del rabbino capo e il processo di revoca. Le modalità di valutazione fanno riferimento a un programma. Tedeschi ritiene lo strumento non adeguato in quanto vi sarebbe il rischio di ridurre il rapporto di dialogo tra la Comunità e il rabbino a mera contrattazione. Quello che ci deve essere, sostiene, “è una struttura condivisa di ciò che deve fare il rabbino, indicazioni di ambiti e non elenco di obiettivi circoscritti sia nella forma sia nel tempo”. Per quanto riguarda la revoca, sostiene che sia meglio parlare non tanto di mediazione, quanto di monitoraggio, altrimenti si rischia un’altra volta di pensare alle comunità e ai rabbini “come a entità separate”.

A seguire, l’intervento di rav Gianfranco Di Segni, coordinatore del Collegio Rabbinico Italiano: “Pur essendo un rabbino non sono rabbino di comunità e posso pertanto parlare da un punto di vista esterno”. Reduce da un incontro con il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni per parlare del tema in questione, spiega come l’idea stessa di programma vada concepita come un rapporto fiduciario tra rabbino e comunità, che può essere aggiornato concertando i cambiamenti. “Il programma è uno strumento per migliorare e non per limitare ed è un modo oggettivo per valutare le divergenze tra comunità e rabbini. Serve qualcosa di oggettivamente valutabile anche nel processo di revoca” osserva il rav. Sicuramente in linea generale, aggiunge poi, si può affermare come diversi rabbini abbiano avuto quella che si può definire una “carriera itinerante” da piccole a grandi comunità e quanto questo abbia arricchito il loro bagaglio esperienziale. A tal proposito ricorda le esperienze di rav Dario Disegni, di rav Sergio Josef Sierra e ancora quella di rav Elio Toaff. “Dagli anni Settanta e Ottanta invece si registra un crescente immobilismo. È giusto quindi auspicare che ci sia più movimento” il suo auspicio.
Franco Segre, consigliere della Comunità ebraica torinese, sostiene come l’eccessiva riservatezza possa rappresentare un danno. E poi afferma: “Per le piccole Comunità l’idea di un rabbino itinerante può essere costruttiva e vitale per la loro stessa natura; opposto invece il caso di Comunità molto più numerose, dove è necessario un tempo maggiore per conoscere la vasta e intricata realtà comunitaria”. Segre afferma anche la necessità di coinvolgere i membri delle comunità, la base, sia per quanto riguarda il tema della durata della carica, sia in caso di revoca. Prende poi la parola Tullio Levi, ex presidente della Comunità di Torino, per ricordare come lo statuto sia stato modificato proprio per avere un maggior accordo tra i Consigli delle comunità e l’Unione. Alla luce degli ultimi avvenimenti, la sua opinione, “sembra venir meno questo rapporto immediato”.

In chiusura, l’intervento di Disegni, che spiega come la scelta di non divulgare troppe informazioni sia dipesa dalla volontà di agire con delicatezza. “Il rapporto rabbino-comunità è centrale, osserva, “ma si è operato con delicatezza perché tocca rapporti di tipo contrattuale ed è più difficile dialogare con la base di questo”.

Alice Fubini