Due lingue e il vuoto che le separa
Al mondo si parlano molte lingue, tuttavia si possono distinguere due modi fondamentali di discorso, diametralmente opposti: quello scientifico e quello poetico. Un modo per definire le differenze fra i due è dire che la scienza prende in considerazione una miriade di fenomeni e assegna loro un nome, mentre la poesia considera un fenomeno e gli dà molti nomi. Il linguaggio scientifico è preciso e ben definito, mentre quello poetico è aperto e sconfinato. Si può discutere dello stesso argomento nelle due lingue, ma le discussioni che si svilupperanno saranno molto diverse. Ad esempio, un uomo che voglia elogiare la bellezza degli occhi della sua amata non dirà che misurano un pollice e che il loro colore è 1523 della scala Angstrom. Piuttosto userà espressioni come “i tuoi occhi sono come colombi”. Certamente una descrizione meno precisa, ma che suscita un grande piacere in chi la ascolta. Dall’altra parte, guai a chi usi espressioni poetiche per riparare scarpe o costruire un ponte: le scarpe non verranno riparate e il ponte non sarà tale. Nella vita di tutti i giorni, i due linguaggi si intrecciano. Un poeta che voglia comprare pane non chiederà “ciò che sostiene l’uomo” (Salmi 104:15), così come uno scienziato che voglia esprimere le proprie idee farà probabilmente ricorso a delle immagini. Ai nostri giorni, il linguaggio gioca un ruolo ancora più centrale. Al mondo si usa ora, direttamente o indirettamente, il linguaggio dei fatti precisi, mentre la poesia (che, incidentalmente, non sempre è alta poesia, né nella forma né nei contenuti) viene lasciata ai margini e utilizzata solo nell’ambito ristretto della poesia in senso stretto. Tuttavia, mentre il linguaggio scientifico è divenuto più comunemente usato, se ne sentono spesso le limitazioni. Infatti, quanto meraviglioso è il fatto che il mondo sia così pieno di sogni e di bellezza e altre cose magnifiche, e quanto è triste quando idee poetiche vengano forzate a rientrare nei limiti del mondo e lì seppellite. L’overdose di linguaggio scientifico ha causato un senso generale di fatica che ha creato un desiderio, manifesto o recondito, di tornare all’altro linguaggio, al reame dei detti grandiosi, che allettano ed avvincono. Il nostro mondo sta virando verso affermazioni più emozionali, verso espressioni più forti ed audaci. Questo linguaggio poetico non è più confinato a luoghi come antologie di poesia o sfoghi dal profondo dell’animo. Esso invece permea il linguaggio preciso, vi coesiste e non viene differenziato da questo o definito come tale. Il linguaggio poetico si aggrappa ad altre idee e forme di espressione e le influenza. La lingua poetica ha, tuttavia, un grande problema: essa non ha limiti. Può puntare a direzioni generali, esprimere aspirazioni e sogni, ma non definisce ciò che è permesso e ciò che è proibito, ciò che è possibile e ciò che è impossibile. È un linguaggio di grandi parole, in cui ciò che più importa è l’intenzione. Quando usato in discussioni religiose, filosofiche, personali o nazionali, il linguaggio poetico risulta spesso vago. L’aiuto ai malati e ai bisognosi è un’idea grandiosa e importante, tuttavia qualcuno deve chiedersi: cosa esattamente intendiamo con ciò? Di quanti soldi si tratta? Da dove proverranno? Quante ulteriori tasse sei disposto a pagare per sradicare la povertà? Peggio di così: molti di coloro che esprimono nobili intenzioni e pronunciano parole pretenziose a proposito di argomenti di estrema importanza non sono soltanto vaghi sui fatti. Spesso non tengono per niente ai fatti, piuttosto li dimenticano o perfino li calpestano. Allorché questi fenomeni raggiungono proporzioni universali, la situazione può diventare ancor più pericolosa. Le grandi guerre dei nostri tempi non sono più combattute per il territorio o per il bottino; piuttosto sono guerre di sogni e poeticità ed è proprio questo a renderle così terribili: esse si svolgono in un mondo che opera secondo regole che non possono adattarsi a quelle del linguaggio dei sogni, in un mondo incapace di curarsi di tutte le grandi e magnifiche intenzioni che gli esseri umani hanno. Un esempio saliente è lo stato islamico, l’Isis. Nell’Islam tradizionale, le regole religiose hanno un ruolo centrale. Ad esempio, la legge religiosa islamica definisce molto chiaramente non solo ciò che è permesso nella Jihad ma anche ciò che vi è proibito, come colpire donne e bambini. L’estremismo islamico, tuttavia, prende idee che si trovano nei libri religiosi islamici, le sradica da ogni tipo di definizione e limitazione, poiché a nessuno interessa più cosa disse Maometto, cosa è scritto nel Corano o quali davvero siano le norme religiose. Gli estremisti non necessariamente sono intrinsecamente malvagi. Essi vivono un mondo senza limiti, motivati dal desiderio irrealizzabile di conquistare immediatamente l’intero mondo. Quando le leggi della poesia vengono forzate nella realtà, in amore come in guerra o in ogni altro ambito, tutto viene calpestato, ogni ordine viene infranto, si verificano violenza e distruzione e spargimento di sangue, di molto sangue. Questo fenomeno è evidente in molti luoghi, tempi e ambiti. La storia ci racconta di nazioni che hanno avuto grandi sogni i quali hanno poi finito per causare grandi sofferenze e tormenti. La rivoluzione comunista, tanto per citare un esempio, si basava su alcune idee grandi e meravigliose: costruire una società nella quale ogni cittadino ricevesse esattamente ciò di cui ha bisogno e potesse sviluppare il proprio potenziale al massimo. Tuttavia, nessuno pensò sufficientemente alla reale fattibilità di queste idee o quanto queste sarebbero costate, non solo economicamente, ma anche in termini di dolore e sofferenza. Un altro esempio è l’aspirazione europea e americana a democratizzare paesi come l’Iraq o l’Afghanistan, un lodevole intento poetico che ha causato gran spargimento di sangue e che è miseramente fallito. Se queste cose succedono anche in Israele, è per la stessa identica ragione. La santità del Tempio e del Monte del Tempio, il diritto del popolo ebraico di regnare nella terra di Israele, il nostro diritto a una vita in pace e sicurezza, sono tutte nozioni buone e giuste, ma appartengono tutte alla sfera poetica. I libri dei Profeti contengono molti versi che possono essere citati e così gli Agiografi. Ma vi è anche la Halakhah. Nella ‘Amidah preghiamo che il male sia sradicato, schiacciato, distrutto, e che il Tempio venga ricostruito. Tuttavia una volta finito di pregare e tornando al nostro mondo reale, vi sono delle definizioni normative, halakhiche, di ciò che è permesso e ciò che è proibito. Chiunque tenti di portare “Mashiach now”, il Messia adesso, e voglia farlo con sangue, fuoco e colonne di fumo, non farà che allontanarne la venuta. Un altro esempio è il collasso della famiglia, largamente dovuto a un eccesso di poeticità, che esalta il romanticismo a spese dei cogenti aspetti contrattuali del matrimonio e della paternità. In effetti il matrimonio ebraico contiene entrambi gli ingredienti. Accanto alle “sette benedizioni” belle e poetiche, c’è anche una Ketubah, un contratto legale piuttosto prosaico che definisce gli obblighi di entrambe le parti. Nell’ebraismo queste due “lingue” vengono chiamate Halakhah e Aggadà. La Halakhah definisce e determina giusto e sbagliato, permesso e proibito in ogni ambito della nostra vita, delle nostre ideologie, delle nostre intenzioni e delle nostre azioni. Accanto alla Halakhah c’è il mondo della Aggadà. Quando si passa a parlare di contenuti, non vi è contraddizione fra questi due mondi. Al contrario: il contenuto è lo stesso. È solo il linguaggio usato ad essere diverso. Nessuno chiederà al Signore abbondanza secondo la misura stabilita, per dire, dal Hazon Ish, esattamente come nessuno imboccando il figlio gli dirà “apri la bocca di ulteriori 1,5 cm”. Non perché Dio non ascolterebbe o perché il figlio non capirebbe, bensì perché questo non è il modo in cui una persona si rivolge a Dio né quello in cui parla a un bambino. Sarebbe bene che i leader religiosi in tutto il mondo tenessero a freno la vena poetica dei loro sermoni, dato che questa apre flussi incontrollabili e rischia di diventare davvero distruttiva. E invece che un flebile belato occasionale, che i leader religiosi islamici affermino con veemenza che vi sono leggi nell’Islam e che gli estremisti in mezzo a loro le stanno infrangendo.
Rav Adin Even-Israel Steinsaltz (versione italiana di Michael Ascoli)
da Pagine Ebraiche, aprile 2016
(5 aprile 2016)