Il Talmud parla italiano
“Senza, non siamo niente”
Inizia con la scelta di un trattato “che fosse di buon auspicio” l’avventura della pubblicazione della traduzione italiana integrale del Talmud Babilonese, di cui esce il primo volume dedicato al trattato di Rosh haShahah. E al concretizzarsi di questa prima tappa di un lungo percorso, di buoni auspici il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni – che presiede il Progetto nato nel 2011 dalla firma di un’intesa tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione, l’Università e della Ricerca, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e il Centro Nazionale delle Ricerche – ne esprime molti. Tutto è iniziato con “una conversazione che sembrava occasionale, ma dietro c’era già un progetto più grande” avuta nel 2010 con Clelia Piperno, direttrice del Progetto, tanto che in breve tempo si è trasformata in un finanziamento dallo Stato e in un libro pronto alla distribuzione. Un processo che porta il rav Di Segni a fare alcune considerazioni, in primo luogo sulle novità che esso comporta. Innanzitutto si tratta della prima traduzione italiana completa del Talmud, “fruibile a diversi livelli, da quello più elementare di chi vi si approccia la prima volta a con l’aiuto di un maestro, a chi è già esperto e ha ora uno strumento in più”. Inoltre, il progetto “è frutto del suo tempo, e infatti si lavora completamente in digitale”. Ma anche in generale “questo lavoro di squadra tra le sue varie anime” costituisce qualcosa di inedito.
Le riflessioni del rav si articolano quindi su vari piani. Da un lato, rileva, lo Stato italiano si è convinto che il Talmud sia un patrimonio dell’umanità, del tutto sconosciuto in Italia. “La società italiana – afferma il rav – ha abbattuto dei tabù nei confronti degli ebrei e gli altri lo hanno capito forse meglio di noi: l’ebraismo non è solo i morti di Auschwitz, ma un pilastro della cultura e tutto questo passa anche attraverso il Talmud”. All’interno del mondo ebraico invece la situazione è più diversificata. “L’ebraismo italiano va in due opposte direzioni – spiega – da un lato esistono una fuga e un decremento numerico, ma accanto a questo esiste una riscoperta dell’ebraismo originale ed essenziale”. Nel fare un paragone con il passato recente di mezzo secolo fa, il rav Di Segni osserva quindi come un’impresa simile sarebbe stata impensabile per l’epoca non soltanto per la mancanza dei mezzi tecnologici, ma anche perché non c’erano abbastanza studiosi di Talmud. “Oggi è diverso – sostiene – in tanti vivono sparsi per il mondo. Ma ci sono tanti studiosi o aspiranti tali, e sono giovani. Una caratteristica essenziale, poiché è anche necessario saper usare il mezzo digitale. E in ogni caso questo progetto è una scuola, visto che fra i traduttori abbiamo anche persone in formazione”. Secondo il rav, alla base di questa rinascita vi è il fatto che “l’Italia si è sprovincializzata completamente, e mentre molti ebrei si pasciono di cose senza contenuto altri vanno in giro per il mondo e si dicono: e noi?”. Esiste per il rabbino capo una “sete di conoscenza” che avvicina le persone alle sinagoghe, ed è questa la spinta da incoraggiare poiché “molti pensano che si possa essere ebrei senza Talmud, ma in realtà è proprio ciò che porta a una perdita dei valori fondamentali”. Infine, il rav ha una risposta per ogni possibile obiezione dei detrattori del Progetto all’interno della comunità ebraica italiana. Ad esempio, non lo preoccupa il fatto di rendere accessibile la più grande opera ebraica a un pubblico esterno dal momento che non crede possa esistere “il rischio di un’appropriazione”. “Qualcuno ci ha detto: ‘Non riuscirete mai, è troppo complicato’ – afferma il rav – ma il Talmud è un’opera accessibile a più livelli. ‘Non è utile, ci sono cose più utili’, hanno detto altri. Ma sono quelli che non hanno idee”. Per questi motivi, il rabbino capo rimane soddisfatto e positivo nei confronti di un’opera che “non è certo un romanzo di Abraham Yehoshua”, ma anche rivolgendosi in primo luogo a una cerchia di studiosi “ha molte potenzialità”. “Innanzitutto – specifica – per il modo in cui le istituzioni italiane vedono l’ebraismo come portatore di cultura, poi per la rilevanza di aver messo a punto un sistema informatico che non ha esaurito la sua funzione in questo progetto, e infine anche per l’effetto positivo che esso ha generato nell’imprenditoria italiana”. Tutto questo è, in definitiva, “un segnale sano”.
Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked
da Pagine Ebraiche, aprile 2016
(5 aprile 2016)