Qui New York
Ute, il canto per non dimenticare
“Il mio è o non è un cuore umano? Ho o non ho il diritto di vivere? E perché non mi è concesso godere della mia vita?”. Sono gli interrogativi disperati che un deportato nel campo polacco di Märzbachtal si poneva in una canzone composta poche settimane prima di morire a Birkenau, conservata per anni dal suo compagno Jack Garfein, sopravvissuto che oggi vive negli Stati Uniti. Nessuno aveva mai saputo della loro esistenza fino a quando Garfein non ha incontrato nel 2014 il musicista e musicologo Francesco Lotoro, il quale ha dedicato la sua vita alla raccolta di tutti gli spartiti musicali composti dai deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti. Alcune di queste musiche risuoneranno stasera a New York, nel concerto intitolato “Songs for Eternity” al Center for Jewish History, interpretate dalla cantante e attrice tedesca Ute Lemper, accompagnata dallo stesso Lotoro al pianoforte, dal clarinettista David Krakauer, dal violino di Daniel Hoffman e dalla fisarmonica di Victor Villena. Il concerto, prodotto da Viviana Kasam e Marilena Citelli Francese, è un’iniziativa benefica per raccogliere fondi per sostenere l’associazione Last Musik, nata nel 2015 con la missione di salvare questo patrimonio musicale a rischio di scomparsa.
Tutto è iniziato circa trent’anni fa, quando Lotoro si è imbarcato nella grande sfida di ricercare, trascrivere e registrare tutte le musiche composte nei campi. Ad oggi ha già raccolto circa 17 mila spartiti, di composizioni appartenenti a vari generi musicali. “Nelle terribili condizioni dei campi un numero sorprendente di persone ha compiuto atti di sopravvivenza spirituale che, a settant’anni di distanza, rappresentano un testamento profondo ed eroico dell’abilità umana a trionfare sul male”, hanno sottolineato Kasam e Citelli Francese. È d’accordo anche la presidente di Last Musik Donatella Altieri, dal cui incontro con Lotoro è nata l’associazione. “Oggi, ogni volta che queste note sono suonate da qualche parte nel mondo, non è solo un’opportunità per scoprire melodie dimenticate, ma anche un modo per pagare un tributo a tutti quei musicisti che hanno riaffermato la loro dignità attraverso la creatività come atto di resistenza. Questi spartiti – le parole di Altieri – sono un esempio di come lo spirito umano possa sopravvivere anche nelle condizioni più inumane”. E mentre le persecuzioni naziste volevano privarli della loro identità di esseri umani, le musiche che sono sopravvissute fino a oggi e che vengono preservate grazie al lavoro dell’associazione fanno sì che i compositori “possano essere apprezzati come i membri della società e i grandi creatori di cultura che sono stati”, aggiunge il direttore del Center for Jewish History Joel Levy.
Al far risuonare le note “di eternità” del concerto sarà inoltre il violino conosciuto come “il violino dell’Olocausto”, appartenuto a Eva Maria Levy, una ragazza ebrea torinese catturata dai nazisti, portata al carcere San Vittore di Milano, dove portò con sé il suo strumento continuando a suonarlo e facendosi conoscere per la sua abilità di musicista. Sul retro del suo violino è incollata un’etichetta su cui si leggono la frase “Der Music macht Frei”, la musica rende liberi, e un breve spartito. Il collezionista Carlo Alberto Carutti, venuto in possesso dello strumento, si è reso conto che lo spartito non ha un vero senso musicale, e che guardando più da vicino si possono notare dei numeri nascosti tra le note. Cercando su internet, Carutti ha quindi scoperto il segreto che quelle note celavano: quelle cifre componevano il numero tatuato sul braccio di Enzo Levy, fratello di Eva Maria, deportato con lei ad Auschwitz. Enzo sopravvisse, portando via dal campo il suo violino. Eva Maria invece morì nel 1944, ma il messaggio di speranza della sua musica, insieme a quella di tutti gli altri deportati, vive ancora oggi.
(6 aprile 2016)