Patrimonio costitutivo d’Europa
Desidero ringraziarLa anch’io, Signor Presidente, per avere, con la sua presenza qui, oggi, all’Accademia dei Lincei – la più prestigiosa Istituzione culturale italiana – reso evidente a tutti il significato e il valore di un’iniziativa che onora la cultura italiana.
Ho detto un’iniziativa, avrei dovuto dire un’impresa, perché d’impresa si tratta, difficile e ardita, di indubbio interesse scientifico, ma carica di uno straordinario valore storico e morale.
Riccardo Calimani, nel primo dei tre volumi della sua monumentale Storia degli ebrei italiani scrive: “Gli ebrei, negli anni della dispersione e dell’esilio, entrarono nel turbine della storia con un patrimonio culturale che, per la sua straordinaria singolarità, avrebbe contribuito a garantirne la sopravvivenza pur vivendo in minoranza tra popoli stranieri: la Bibbia, il Talmud, la Quabbalah.”
Quel patrimonio Calimani definisce e assume come un “invincibile scudo a protezione del popolo ebraico, unica garanzia d’identità sia personale, sia di popolo”.
Ma il Talmud, mai tradotto in italiano, era rimasto fino ad ora sconosciuto, e forse estraneo, alla nostra cultura. Una lacuna grave che era un dovere colmare.
Perché il Talmud non è soltanto l’opera più importante della cultura ebraica, quella che più lo caratterizza. È un testo religioso, giuridico, scientifico, filosofico, letterario, esegetico, omiletico, che risale, nei suoi tratti più antichi, a più di 2000 anni fa.
Ma nel Talmud c’è molto di più dell’intelligenza dei maestri ebrei del diritto e della legge. C’è l’ebreo al lavoro, il suo spirito, cuore, mente, desiderio, logica, praticità, senza alcuna astrazione ideologica, la negazione del nichilismo grazie alla presenza di un Dio che premia la ragione e non la cieca sottomissione.
Perciò il Talmud è patrimonio costitutivo della nostra identità europea e italiana. Quante volte ci è giunta l’eco delle discussioni sulla parte fondativa della Costituzione dell’Unione Europea, poi sfiorita e, purtroppo, svanita. E gli esperti discettavano se fosse giusto o meno inserirvi le radici giudaico-cristiane. Alla fine esse furono negate, e oggi ci accorgiamo che fu un errore storico, quasi una manifestazione di quella che il filosofo inglese Robert Scruton, anglicano, e l’accademico francese Alain Finkielkraut, ebreo, sono concordi nel definire “oicofobia”, rifiuto dell’eredità, quella patologia dello spirito che ci lascia senza difese in balìa di proselitismi fanatici specie tra i giovani.
Dobbiamo invece conoscere noi stessi, le ragioni della nostra civiltà, per questo è importante che il Talmud sia messo a disposizione di tutti.
Sta qui il valore della traduzione in italiano. E’ un lavoro, questo, che illustra la lingua italiana, e onora «Le genti del bel paese là dove ‘l sì suona», (Inf. XXXIII, vv. 79-80). E tra queste genti ci sono gli ebrei, gli ebrei italiani. Accolti già nella Roma prima di Cristo, spesso perseguitati, fino agli orribili e infami fatti della Shoah.
Ora questa traduzione è un segno importante di un fatto che fortunatamente nessuno può più negare: non c’è, non può esserci, la cultura italiana senza il contributo di quella ebraica. Questa traduzione dice la verità su noi stessi. Ci dice che gli ebrei italiani e la loro cultura sono coessenziali alla definizione di noi stessi e della nostra cultura.
Del resto il Talmud, sia quello Babilonese sia quello Palestinese, furono stampati in edizione integrale a Venezia nel 500. E furono anche messi al rogo a Venezia, in piazza San Marco, pochi anni dopo.
Ecco perché la giornata di oggi, con la presentazione del primo volume, quasi la “rivelazione italiana” del Talmud, è un passo importante, deciso, nuovo, di comprensione piena, per la costruzione di un mondo dove sia più bello vivere.
Mi piace perciò chiudere citando qui Giovanni Paolo II, che nominò nel suo testamento tra i grandi amici il Rabbino capo di Roma Elio Toaff. Sono attualissime le parole che pronunciò nella sua storica visita alla Sinagoga di Roma:”…
È doveroso dire che la strada intrapresa è ancora agli inizi, e che quindi ci vorrà ancora parecchio, nonostante i grandi sforzi già fatti da una parte e dall’altra, per sopprimere ogni forma seppur subdola di pregiudizio, per adeguare ogni maniera di esprimersi e quindi per presentare sempre e ovunque, a noi stessi e agli altri, il vero volto degli ebrei e dell’Ebraismo, come anche dei cristiani e del Cristianesimo, e ciò ad ogni livello di mentalità, di insegnamento e di comunicazione” (13 aprile 1986).
Oggi forse possiamo dire che ci stiamo riuscendo.
Gianni Letta,
presidente del Comitato d’onore del progetto di traduzione del Talmud babilonese