CIVILTA’ A CONFRONTO Il sacrificio e la società attraverso i millenni

bassanoNelle ultime parashot si parla continuamente di sacrifici, eppure specie per un lettore moderno non dovrebbe essere facile comprendere a pieno il significato di questa parola.
Partendo dalla sua etimologia, sacrificio deriva dal latino sacrificium composto da sacer più facere “ rendere sacro”. In italiano, esiste la parola sacrificio come termine polisemico per racchiudere un concetto che ha acquisito e modificato nei secoli e nelle differenti culture umane molteplici caratteri e significati, tra cui quello più antico ed esclusivo di immolazione.

In Inglese oltre a sacrifice, offering è utilizzato per i sacrifici che non implicano uccisioni rituali, analogo al tardo Latino oblatio, oblazione, in lingua italiana sinonimo di offerta o donazione, soprattutto in ambito ecclesiastico. In ebraico moderno si ha genericamente Qorban (da leqarev “presentare, avvicinare”), il quale oltre ad indicare nel contesto biblico una qualunque offerta a D-o, è utilizzato altresì per designare la vittima di un crimine. Si ha poi, sempre in ebraico, la differenziazione tra Zevaḥ, per le offerte di animali che venivano presentate al Tempio e condivise dall’offerente, ‘Olah (“far ascendere” da cui la parola greca Olocausto) per le offerte bruciate interamente sull’altare del Tempio, Minḥah per le offerte vegetali e Ḥattah per le offerte espiatorie.

Marcel Mauss ed Henri Hubert (1899), esplicarono il sacrificio come “un atto religioso che, mediante la consacrazione della vittima, modifica lo stato della persona morale che lo compie e lo stato di certi oggetti di cui la persona si interessa […] stabilendo così una comunicazione tra il mondo sacro e il mondo profano”.

Il filosofo Moshe Halbertal, afferma che il termine sacrificio sarebbe passato da un’accezione meramente religiosa, dove si ha un “sacrificare a qualcosa”, a una accezione profana, e dunque politica o morale, dove si ha invece un “sacrificare per qualcosa”, in cui più di “dare” si tratta di rinunciare per l’altro, o per la patria e per la collettività, coinvolgendo in tal senso anche la morale kantiana con la trascendenza di sé in opposizione all’amore di sé.

Il sacrificio è stato identificato come un mezzo di contatto o comunione con la divinità, al fine di restituire simbolicamente un dono ricevuto, o per ragioni propiziatorie e acquisire dei benefici, per sacralizzare e dunque comprovare un proprio diritto sull’ordinario, o per la propria espiazione, o per ristabilire un alleanza perduta. Alla base v’è sovente la ripetizione di un sacrificio originario compiuto da una divinità, o il ricordo archetipo di un’epoca primordiale dove uomini e dèi vivevano mescolati insieme nell’abbondanza e nella primavera perpetua, come nel giardino edenico o al tempo di Crono, il Saturno dei romani. Prerogativa del sacrificato era la sua innocenza, ciò specie nei sacrifici espiatori dove venivano trasferite le colpe di un singolo o di una comunità su un’unica vittima. Per tale scopo, l’offerta dei sacrifici erano in origine prevalentemente animali, o prodotti vegetali ed altri alimenti, così nel Thysía dei greci, nella Yajna delle religioni vediche o nel Blót dei germani, in alcune culture il manufatto o l’oggetto commestibile “sacrificato” doveva rappresentare la divinità stessa, come nei riti vedici a Sóma o in quegli aztechi a Huitzilopochtli, la quale dopo il rituale veniva “consumata”, per acquisire i suoi poteri o per unirsi ad essa.

Sebbene i sacrifici umani fossero già presenti nelle culture precolombiane o nell’Arabia preislamica, solo in epoche successive l’uomo sostituì quasi del tutto l’animale nel sacrificio. La crocifissione di Cristo potrebbe essere fondamentale in questa svolta, egli secondo il cristianesimo si sarebbe sacrificato facendosi carico del male e dei peccati del mondo come Agnus Dei, ”agnello pasquale”, sostituendosi così ai propri uccisori e salvando e redimendo l’umanità, un sacrificio ricelebrato attualmente con la pratica dell’eucarestia. Da allora sono da considerarsi relativamente moderni, i martirii dei perseguitati religiosi, il Sati in India, il Seppuku dei Samurai e il Kamikaze in guerra, o il contemporaneo attentatore jihadista, il cosiddetto shahid “testimone della verità della fede” che negli ultimi tempi terrorizza l’occidente.

Inconsapevolmente, il sacrificio è parte integrante della nostra vita quotidiana e delle nostre scelte, è ciò che ci viene richiesto ogni giorno come cittadini o individui, è dunque inerente alla nostra sfera sentimentale, politica, sessuale, genitoriale, professionale. Il sacrificio è sia amore come dono che violenza come furto e privazione. Riprendendo le parole di Mauss “in esso sta il principio di ogni vita”, e di gran parte delle nostre società. Ciò che nei tempi antichi costituiva un canale di accesso con un mondo superiore ha ceduto il posto, nelle varie culture e religioni, alla preghiera, alla carità, all’ascetismo od a altre forme di abnegazione differenti.

Da un intermediario identificato nella vittima sacrificale, la civiltà sarebbe passata dunque a un contatto più diretto tra l’uomo e D-o, o al contrario, da un mondo più attiguo al cosmo e alla sua origine si sarebbe allontanata, per concretizzare un mondo dove impera la solitudine dell’uomo contemporaneo. Un mondo dove il suo creatore sembra a tratti eclissato e irraggiungibile, e l’uomo, dimentico del sacrificio come dono di sé, immola la propria esistenza all’insegna del piacere, del proprio ego, e di idoli materiali.

Francesco Moises Bassano, studente