Garantismo e autorevolezza
A cosa si possono paragonare i rabbini? A dirigenti, giudici, insegnanti, professori universitari, organizzatori di eventi culturali? Probabilmente un po’ a tutte queste cose e a nessuna di queste. È un tema di cui abbiamo già parlato tante volte, l’ultima a Torino domenica scorsa. In quel contesto, dato che si discuteva in particolare su come sarà regolato secondo la bozza di modifica dello Statuto Ucei il rapporto tra Comunità e Rabbini, i paragoni proposti non si riferivano tanto alla professione rabbinica in sé quanto ad alcuni aspetti specifici del rapporto di lavoro (come viene assunto un rabbino, di quale livello di autonomia gode nell’esercizio delle sue funzioni, come e quando può essere revocato, ecc.). Come è stato messo in evidenza, tali questioni possono influenzare in modo molto forte il destino dell’ebraismo italiano, anche perché condizionano la scelta dei singoli rabbini di lavorare o meno per una Comunità. Come è logico, nei paragoni proposti durante la serata ciascuno aveva in mente in particolare la propria professione, e anche io non ho potuto fare a meno di pensare alla mia.
Una questione in particolare tra quelle sollevate mi ha ricordato i dibattiti che hanno preceduto e accompagnato la recente riforma della scuola. I vincoli e i controlli, il dovere di rendere conto del proprio operato e di attenersi a un piano di lavoro predeterminato, e di conseguenza la minore autonomia del professionista (insegnante, rabbino o quant’altro) nell’esercizio delle proprie funzioni determinano una svalutazione sociale della professione stessa? Molti lo hanno affermato a proposito degli insegnanti, ma io personalmente non ne sono affatto convinta. Anzi, spesso ho avuto l’impressione che il garantismo eccessivo, impedendo di isolare e sanzionare coloro che non svolgono seriamente il proprio lavoro, abbia determinato nel corso degli anni una generale svalutazione dell’immagine degli insegnanti. Non sono sicura che la riforma recentemente approvata abbia individuato davvero gli strumenti più appropriati per premiare il merito e sanzionare i comportamenti non corretti, e non è questa la sede per discuterne; comunque sia ho sempre provato un grande disagio di fronte ai colleghi e alle organizzazioni sindacali che rivendicano la piena autonomia degli insegnanti anche quando questa significa libertà di trascurare i programmi ministeriali e assenza di qualsiasi genere di controllo.
Io credo che i professionisti seri e competenti siano ben felici di avere la possibilità di esporre e discutere le proprie linee guida, il proprio operato, i risultati raggiunti. Un datore di lavoro o un cliente /utente /allievo che lascia carta bianca su tutto a mio parere non dimostra rispetto per la professione, ma, anzi, dà prova di un competo disinteresse.
Naturalmente parlo da insegnante. Sui rabbini mi pare giusto che discutano prima di tutto i rabbini stessi.
Anna Segre, insegnante
(8 aprile 2016)