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Il Dybbuk? È un’opera d’arte
Una storia d’amore tormentata, misteri e mistica, l’atmosfera speciale della cultura ebraica est-europea, e il tocco di un maestro da Oscar. È questo che rende il taccuino scritto, disegnato e annotato da Andrzej Wajda, il celebre regista polacco che nel 1988 mise in scena con il teatro Habimah prima a Cracovia e subito dopo in Israele la celebre opera teatrale Dybbuk di S. An-Ski, “un oggetto molto raffinato”. Così lo ha definito la curatrice Sarah Kaminski, professoressa dell’Università di Torino, che insieme a Silvia Parlagreco e Giulia Randone, l’ha pubblicato come libro d’arte, prodotto dallo studio grafico Lucini, Milano, e presentato dalle curatrici a Cracovia, alla Crikoteca del museo Kantor, con il coordinamento della sua direttrice Natalia Zarzecka e in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura, di cui era presente il direttore Ugo Rufino. Alla presentazione del volume è seguita la proiezione del documentario girato da Ami Drodz, in occasione della messa in scena del Dybbuk a Tel Aviv. Come ospite d’onore ha partecipato infine anche la costumista e scenografa Krystyna Zachwatowicz, nonché moglie di Wajda.
L’opera di An-Ski, spiega Kaminski, “è stata sempre messa in scena dall’Habimah, il teatro nazionale d’Israele, senza interruzione fin dal 1922 e la regia è stata seguita tra gli altri anche dal grande regista russo Konstantin Stanislavsky”. Sebbene la compagnia sia nata in Russia, aggiunge la curatrice, la prima del Dybbuk, a cui assistettero anche molti tra i più grandi autori della letteratura del paese, è andata in scena in ebraico. Per quanto riguarda Wajda, le cui note sono riportate nel taccuino in varie lingue, Kaminski lo definisce “uno dei più grandi registi viventi, che tra l’altro ha compiuto novant’anni proprio nei giorni in cui il suo taccuino veniva pubblicato”. Il regista ha sempre affrontato il tema dell’ebraismo polacco e di come i suoi elementi identitari siano oggetto di una fortissima influenza reciproca con quelli nazionali, ma il Dybbuk – sottolinea Kaminski – è l’unica opera di attinenza ebraica da lui messa in scena a teatro.
Nella tradizione ebraica, un dybbuk è lo spirito di una persona morta che entra nel corpo di un vivo e parla attraverso di esso. Un fenomeno particolarmente femminile – sottolinea la curatrice del volume – “e che a contatto con la società ha causato forti contaminazioni, tanto che spesso nei drammi si riscontra la presenza di spiriti”. A rendere inoltre l’opera di An-Ski speciale e anche sempre attuale sono secondo lei alcuni elementi, tra cui il ruolo della protagonista femminile Leah, “che compie in prima persona una scelta forte nel non volersi liberare dello spirito dell’amato che l’ha posseduto”.
(10 aprile 2016)