Le sfide del futuro
Tra le molte sfide che attendono l’Unione nei prossimi anni a mio avviso una prevale e le riassume tutte. Come assicurare oggi e in futuro la presenza viva di una pluralità di comunità ebraiche in Italia, profondamente radicate nel territorio?
La sfida è ambiziosa: declino demografico, invecchiamento della popolazione, matrimoni misti e famiglie allargate, aliot, insufficiente copertura dei ruoli rabbinici, sono solo alcune delle cause che rendono via via più complesso (e costoso) assicurare i servizi ebraici essenziali, specie nelle piccole comunità.
A questo si aggiunge la difficoltà generale del sistema paese Italia che porta molti giovani e famiglie a considerare il loro futuro all’estero, indipendentemente dalla scelta sionista.
Che fare allora? Rassegnarsi ad avere due grossi centri e qualche “satellite”? Incoraggiare, come qualcuno propone, una alià di massa o, magari, il trasferimento del patrimonio culturale ebraico (libri, arredi, sefarim) verso lidi più sicuri in Eretz Israel?
Questa visione, in apparenza dettata da realpolitik, trascura il fatto che le Comunità non sono solo “enti” ma gruppi di persone che si riconoscono legate da una storia e da un destino comune. Senza contare il fatto che oggi, ben più che nel passato, Israele ha bisogno di una diaspora forte, che sia il proprio naturale interlocutore nei paesi europei, sotto shock per le nuove ondate migratorie, prevalentemente islamiche.
D’altra parte mai come oggi si assiste a uno straordinario sviluppo di iniziative ebraiche in tutti campi: studio e cultura, educazione, occasioni di incontro per giovani o anziani, informazione, sport, assistenza sociale. Solo per restare all’ambito strettamente religioso pensiamo a due fatti, di proporzioni diverse, ma egualmente straordinari: il monumentale progetto in corso di traduzione italiana del Talmud e il recente restauro del più antico Sefer Torà italiano riportato al suo uso naturale nel tempio di Biella. E che dire poi degli ebrei “ritrovati” grazie al Progetto Meridione promosso dall’Ucei?
In futuro dovremo certo adattarci a un nuovo ebraismo italiano, a comunità più liquide e a più alta mobilità, che possano sfruttare le opportunità messe a disposizione dalle nuove tecnologie per avvicinare gli ebrei tra loro e condividere risorse e maestri. Dovremo cercare di raggiungere i singoli e le famiglie là dove si trovano, facendo leva sulle Comunità, che sono le formazioni tradizionali in cui si articola l’ebraismo italiano.
In questa prospettiva l’Unione non deve diventare un organismo di conciliazione tra diversi particolarismi più o meno egoistici, ma favorire e sviluppare solidarietà e sussidiarietà tra le Comunità in ogni campo: da quello fiscale-contributivo (proporzionato alle disponibilità e alle necessità) alla creazione di network professionali per la condivisione di competenze ed esperienze; all’ambito educativo, sociale e religioso, centralizzando dove possibile i servizi, ma rispettando l’autonomia operativa e patrimoniale delle singole comunità. Da un simile atteggiamento molto può tornare in arricchimento anche alle comunità maggiori. E questo richiede un nuovo patto tra le Comunità, per una rinnovata fase di crescita dell’ebraismo italiano.
Solo così si potranno condividere le priorità, da tradurre in precise scelte politiche, per investire le risorse a disposizione.
Ugo Di Nola, Consigliere UCEI
(11 aprile 2016)