Edgardo Mortara, ciak si gira

edgardo mortara media Un regista di fama mondiale, un bimbo rapito la cui storia fu causa di una aspra controversia internazionale che probabilmente modificò la storia, un recente vincitore del premio Pulitzer, la comunità ebraica di Bologna e l’affetto fra due famiglie, da una parte all’altra dell’oceano. Sono ingredienti già molto eterogenei, ma vanno aggiunte le leggi razziste del 1938, uno sceneggiatore americano di grande talento e al centro di tutto lei, la signora Franca Passigli, che pure si schermisce, e ribadisce più volte con nonchalance di non avere nulla di interessante da raccontare. La sua storia parte da lontano, dagli anni Trenta del Novecento, quando la famiglia Bolaffi-Passigli ebbe la lucidità di comprendere rapidamente che era necessario andarsene presto da un’Italia che diventava sempre più inospitale per gli ebrei. Erano di origini toscane, e la loro lungimiranza li portò a rifugiarsi in Francia e, dopo aver atteso per sei mesi a Parigi l’affidavit che avrebbe loro permesso di lasciare l’Europa, riuscirono a partire con la piccola Franca che non aveva ancora compiuto un anno, per ritrovarsi a New York all’inizio del 1938.
Vi sarebbero restati quindici anni prima di tornare in Italia.
Un periodo difficile, ovviamente, fra le notizie che arrivavano dal vecchio continente e la fatica di reinventarsi una vita, dolori e difficoltà condivisi da tanti, eppure il ricordo di quegli anni non deve essere così negativo se molto tempo dopo la signora Franca, tutt’ora residente a Bologna, quando scoprì che una compagna di classe di sua figlia era americana spinse perché la sua Deborah e Molly diventassero amiche. E così fu, tanto da portare anche le due famiglie a conoscersi, frequentarsi, fino ad arrivare a un’amicizia solida, che dura da allora, nonostante ora ci sia di nuovo un oceano da attraversare.
La ragazzina americana, ora cresciuta, è figlia di David Kertzer, fresco vincitore del premio Pulitzer per The Pope and Mussolini: The Secret History of Pius XI and the Rise of Fascism in Europe. Antropologo, storico, esperto di storia politica e religiosa d’Italia, Kertzer è considerato l’esperto statunitense di maggior rilievo nella storia moderna delle relazioni tra Vaticano e mondo ebraico, ed è anche l’autore di The Kidnapping of Edgardo Mortara, volume pluripremiato che in italiano è stato tradotto come Prigioniero del Papa Re (Rizzoli). Edgardo Levi Mortara, nato nell’agosto del 1851, era stato battezzato segretamente da una domestica, che lo aveva creduto in pericolo di vita per una malattia, e secondo le leggi allora vigenti non poteva essere cresciuto al di fuori della chiesa. Il libro di Kertzer inizia dal rapimento: “Una squadra di polizia, agli ordini dell’Inquisitore, invade la casa del mercante ebreo Momolo Mortara, strappa dalle sue braccia il figlioletto di sei anni che piange e lo trascina via su una carrozza diretta a Roma. La madre sconvolta collassa e deve essere portata nella casa del vicino, il suo pianto si sente in tutta la città”. Gli sforzi della famiglia Mortara per riavere la custodia di Edgardo, di cui avevano perso la patria potestà, non sortirono alcun risultato, ma nonostante le conversioni forzate fossero allora molto diffuse in Europa la vicenda ebbe una enorme risonanza, e ci fu una mobilitazione contro l’operato del Vaticano che coinvolse i Rothschild, Napoleone III e addirittura l’opinione pubblica americana. Pio IX si interessò personalmente alla vicenda, e presto il “caso Mortara” divenne uno scandalo internazionale, ma il ragazzo venne ordinato prete e servì da missionario in Germania, dove cercò di dedicarsi alla conversione degli ebrei. La sua sorte divenne un simbolo della lotta del liberalismo risorgimentale al potere pontificio e la sua vicenda appassionante e commovente, ricca di colpi di scena e di implicazioni religiose e politiche pare fatta apposta per diventare un romanzo… o un film. E proprio questo ha fatto Kertzer, che dopo aver scoperto per caso la storia di Edgardo nel periodo in cui viveva in Italia, ha fatto ricerche approfondite negli archivi, sia a Bologna che a Roma, per poi pubblicare un libro appassionante, scritto con il rigore dello storico ma pensato per il grande pubblico.
Un libro che in qualche modo avvicina ancor di più le due sponde dell’oceano: Kertzer l’ha infatti dedicato a suo padre Morris, quel rabbino Morris Kertzer di Iowa City che il 22 gennaio del 1944 era fra i soldati del sesto Corpo d’armata americano, sbarcati sulla costa tra Anzio e Nettuno. Era l’unico cappellano ebreo in servizio, e dopo settimane trascorse ad assistere i soldati feriti entrò a Roma, dove dopo aver incontrato il rabbino capo della Comunità con lui celebrò lo Shabbat al Tempio maggiore, davanti a più di 4 mila persone.
E tornando in America, The Kidnapping of Edgardo Mortara ha avuto un lettore d’eccezione, che ne farà veramente un film: come è noto già da qualche tempo, Steven Spielberg ha preso a cuore il “caso Mortara”, e ne ha affidato la sceneggiatura a Tony Kushner. Drammaturgo, oltre che sceneggiatore, Kushner è famoso soprattuto per Munich e Lincoln, poi diretti proprio da Spielberg e Kertzer, che lo conosce da più di vent’anni, ne ha piena fiducia. Al punto da metterlo in contatto con i suoi amici italiani, che lo hanno portato qualche tempo fa a visitare la Bologna ebraica, a partire ovviamente dalla Sinagoga. Racconta la sua accompagnatrice: “Dopo la sinagoga siamo andati a vedere la zona del ghetto, ovviamente, anche se la famiglia Mortara non viveva lì. È un uomo molto simpatico, Kushner, e siamo stati in giro parecchio, con anche il suo assistente”. Ma non finisce qui il ruolo di Kertzer, che è stato chiamato come consulente per gli aspetti storici del film, e che ha piena fiducia anche nella capacità di Spielberg di scegliere chi interpreterà i vari personaggi. “Tutti quelli che hanno sentito parlare del film vogliono sapere chi saranno gli attori. La cosa più difficile sarà ovviamente scegliere chi interpreterà Edgardo a sei anni. Ma Spielberg è sempre stato bravissimo proprio nella scelta degli attori bambini che hanno interpretato per lui ruoli importanti. Sono davvero molto fiducioso”. E alcune settimane fa è arrivata alla comunità ebraica di Bologna la richiesta di trovare fra gli iscritti dei bambini fra i 6 e i 9 anni, perfettamente bilingui, per partecipare al casting. Non una richiesta facile da soddisfare, ma due piccoli ebrei bolognesi corrispondevano alla descrizione, e hanno passato parecchio tempo a studiare la parte – probabilmente un dialogo fra il piccolo Edgardo e sua madre – per arrivare pronti all’appuntamento a Roma. Un impegno non semplice ma, come ha raccontato una madre, è stato accolto con gioia: “Era contentissimo, si portava il copione a scuola, e passava gli intervalli a studiarselo… una cosa in più da imparare, ma era davvero entusiasta all’idea di avere la possibilità di partecipare alla selezione per Spielberg”. Una scelta interessante, quella di cercare prioritariamente bambini inscritti alla comunità ebraica della città d’origine del piccolo protagonista, ebreo, del film, ma ancora non si sa nulla di come siano andati. A fare il casting anche qualche altro bambino, fra cui due giunti appositamente da Lugano, ma probabilmente non ci saranno notizie ancora per parecchio, perché anche se parte del film sicuramente sarà girata a Bologna non ci sono ancora informazioni precise sulla data delle riprese. Quello che è certo, invece, è che i legami fra l’America e l’Italia ebraica restano forti, e che anche i Pulitzer e gli Oscar sanno contare sull’amicizia e sull’affetto di coloro che con celebrità e tappeti rossi nulla hanno a che fare, ma che possono offrire un patrimonio di cultura e tradizioni millenarie, fondamentali quando si vogliono raccontare storie importanti.

Ada Treves

da Pagine Ebraiche, luglio 2015

(12 aprile 2016)